Daniela Maccari
Daniela Maccari in una foto di Maria Celia Mango

LIVORNO – Dal 2009, Daniela Maccari è prima ballerina e coreografa della Lindsay Kemp Company. È stata assistente e prima collaboratrice di Kemp stesso, e oggi cura l’organizzazione e la comunicazione web della compagnia insieme a David Haughton.

Nata a Pisa, studia danza con Elsa Ghezzi, Ioana Butnariu e si perfeziona in seguito con Marina van Hoecke, diventandone anche assistente. Danza assoli, creati appositamente per lei da Marina van Hoecke, ospite in numerosi Gala.
Nel 1991 vince il concorso internazionale Giovani Talenti e nel 1994 consegue il diploma di Attore Scenico, al termine del corso di formazione professionale diretto da Micha van Hoecke.
Consegue poi la laurea in Lettere classiche con il massimo dei voti e la lode.

Danza dal 1995 al 1998 con L’Ensemble di Micha van Hoecke.
In seguito, nel 2006, ha l’opportunità di seguire il Wuppertal Tanztheater di Pina Bausch come stagista.
Nel gennaio 2009, infine, avviene l’incontro con il geniale Lindsay Kemp. Da qui un’intensa collaborazione: lo segue infatti come danzatrice, coreografa e assistente in tutte le sue produzioni.

L’incontro con Lindsay Kemp

Come è avvenuto l’incontro con Lindsay Kemp e che effetto ha avuto sulla vita di Daniela Maccari?

L’ha cambiata totalmente.
Ero in vacanza a Parigi e ricevetti un messaggio da un mio carissimo amico attore, che stava lavorando con Lindsay. «Maccari ti piacerebbe lavorare con Lindsay Kemp?». Pensavo quasi fosse uno scherzo, poi il mio amico mi spiegò che Kemp stava cercando una coreografa per una nuova produzione. 

Decisi di rientrare subito in Italia e partecipai all’audizione per la rimessa in scena di Cinderella. Ricordo che ero all’entrata artisti del Teatro Goldoni e lo aspettavo come si attende l’arrivo di una leggenda, un mito di cui hai visto gli spettacoli e hai letto nei libri di storia della danza. Quando arrivò si palesò come la persona più semplice, affabile, simpatica, alla mano che io potessi immaginare.

E scoppiò la scintilla, fortuna mia, reciproca. Durante l’audizione ci sentimmo subito sulla stessa lunghezza d’onda. Dopo soli cinque minuti con Kemp mi sembrava di aver lavorato con lui da sempre. In seguito mi ha confessato che fu lo stesso anche per lui, tanto è vero che appena finita l’audizione lui aveva iniziato già a parlare del lavoro da fare. Mi domandava come intendevo procedere per la scelta dei danzatori per Cinderella. 

Come è cambiata la sua danza dopo questo incontro?

Sono una ballerina molto passionale. Ho studiato danza classica e ancora adesso mi alleno così. Al contempo, però, ho sempre avuto bisogno di raccontare danzando, narrare una storia o anche solo i miei sentimenti. 

Il giorno dell’audizione lo ricordo benissimo proprio perché è stato lo spartiacque della mia carriera e della mia vita. Sentii la mia anima esplodere: danzare come voleva, quanto voleva, nel modo più libero. 
Lindsay Kemp ripeteva spesso ai propri danzatori: «Voglio vedere la vostra anima che danza».

Per spronarci a essere liberi usava delle immagini di una semplicità disarmante. Come la maieutica socratica, a ogni sua frase pensavo: «Ma sì, certo, è così che voglio danzare, l’ho sempre saputo dentro di me».

E sentire Lindsay Kemp che ci invitava a liberarci dei nostri freni inibitori e trovare la nostra libertà… Ecco questa è stata la cosa che mi ha toccato nel profondo e mi ha cambiato la vita. Sia come danzatrice che nel quotidiano. 

Che genere di maestro era Lindsay Kemp?

Era molto pignolo ed esigente ma sapeva anche ringraziare e apprezzare. Non è così scontato che la persona con cui lavori sia tanto rispettosa. Lui aveva davvero rispetto per il lavoro degli altri e per questo tutti lo amavano. Danzatori, collaboratori, tecnici, chiunque può affermare di aver imparato tanto collaborando con Kemp.

Mi ritengo davvero fortunata per aver trovato non solo il grande artista, il grande Maestro, ma anche una persona così semplice, cortese e simpatica. Il Maestro nel senso più profondo del termine, il Maestro dal quale impari ogni volta che apre bocca o muove un dito. 

Aveva a cuore la mia ispirazione, la mia creatività, consigliandomi spettacoli e film da vedere e libri da leggere. Il lavoro con lui era totale, cosa che mi creava un forte senso di responsabilità ma mi dava anche una grandissima gioia. Lui a sua volta voleva molto essere ispirato da me. Mi ha sempre fatto sentire all’altezza, dando un grande peso ai miei consigli, ai miei pareri.

Daniela Maccari in Il Cigno. Foto di Maltoni.

Una visione totale dello spettacolo

Daniela Maccari cosa intende di preciso quando dice «lavoro totale»? 

Lindsay Kemp aveva una visione totale dell’arte, mentre io all’inizio mi sentivo prettamente danzatrice. Si occupava di ogni singolo aspetto dello spettacolo: dalla danza al costume, dal trucco alla scenografia. E io, in qualità di assistente, lo seguivo in ciascuna fase, imparando molto così.  “Totale” anche perché ogni momento della giornata, in aereo, al mercato o per strada, poteva essere fonte d’ispirazione.

Kemp sosteneva che qualsiasi pubblico, dal teatro più grande e famoso a quello più piccolo in periferia, ha diritto di assistere allo spettacolo più bello. E per questo lo vedevo correre dietro le quinte con un pennellino in mano per ritoccare un oggetto di scena, fino all’ultimo minuto prima della messa in scena. 

Amava tingere personalmente le stoffe e provava e riprovava finché non trovava la sfumatura perfetta. Quando poi trovava la gradazione di colore che desiderava era felice come un bambino.

E per la coreografia?

Certo, aveva una cura del dettaglio anche per la coreografia, cura che si trasformava in smania creativa. Non era semplice stargli dietro, soprattutto i primi tempi, non ero abituata a tanti cambi in una coreografia. Era molto stimolante.

La sua ultima produzione, Kemp Dances, ha infatti come sottotitolo: invenzioni e reincarnazioni. È uno spettacolo antologico costituito da pezzi del suo repertorio rivisitati e nuove creazioni. Che fossero i suoi assoli, il Fiore o l’Angelo, oppure Nijinskij, dove è coinvolta tutta la compagnia, ad ogni messa in scena si reincarnavano in maniera diversa.

Da dove deriva la passione di Lindsay Kemp per l’opera lirica?

I suoi spettacoli, soprattutto i primi, erano per così dire barocchi, molto scenografici. Creava così un contrappunto tra la ricchezza scenografica e la semplicità del gesto. Sosteneva l’essenzialità del racconto coreografico: ogni gesto deve avere un significato. Magia, colore, sogno: è venuto da sé l’interesse verso l’opera lirica. 

Mettere in scena Madama Butterfly, poi, rispondeva anche al suo amore per l’Oriente e il Giappone. Una passione nata sin da piccolo: il padre di Lindsay Kemp era un marinaio e dopo ogni viaggio portava stampe giapponesi, kimono, ventagli. Da qui una forte attenzione verso il teatro giapponese e il trucco. 

Che importanza aveva il trucco negli spettacoli di Kemp?

Per lui il trucco era un rituale importantissimo. Chiuso in camerino, ascoltando musica, due ore prima di uno spettacolo iniziava a entrare nel personaggio attraverso il trucco.  Era lui stesso a truccare gli interpreti dei suoi spettacoli o comunque a dare indicazioni alle truccatrici. 

Prima di andar in scena controllava sempre il trucco a tutti. La sua firma era due puntini rossi disegnati tra gli occhi e il naso, come Moira Shearer in Scarpette rosse. Lindsay Kemp raccontava spesso di aver visto quel film da bambino e di esserne rimasto folgorato, intuendo di voler far parte del mondo dello spettacolo.

L’attenzione verso il trucco deriva dalle stampe giapponesi, come ho già detto, ma anche dall’influenza della madre di Kemp. Spesso raccontava che quando era bambino, durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, la madre per intrattenerlo lo teneva sulle proprie ginocchia mentre si truccava con mezzi di fortuna.

Moira Shearer in Scarpette rosse, una delle fonti di ispirazione del trucco di Lindsay Kemp.

Gli spettacoli di Lindsay Kemp presentano una commistione di stili unica: come riusciva a equilibrare le varie arti?

Amava lo spettacolo in ogni sua declinazione: dalla danza classica imparata sui libri, i Ballets Russes, Nijinskij, il musical, il cinema muto, la pantomima, il teatro giapponese, la Commedia dell’Arte, Isadora Duncan, Pina Bausch, le danze tribali. Aveva una capacità innata nel sapere equilibrare tutto ciò. I suoi danzatori, dunque, sono anche performer a tuttotondo. 

Prendeva ispirazione dalla vita e dall’arte. Ci spronava a ispirarci a Rodin, a Michelangelo, a Canova. Nei suoi spettacoli, ha fatto riferimenti a film, a quadri, il tutto guidato dalla musica. «Abbandonati alla musica, lascia che ti porti in un altro mondo», ripeteva durante le lezioni. Questa è la grande responsabilità dell’interprete: coinvolgere il pubblico in questo viaggio. Nessun spettatore dovrebbe uscire dal teatro uguale a come è entrato. 

Qual era il rapporto di Kemp col pubblico?

Il suo obiettivo era trasportare il pubblico in un mondo di sogno, di fiaba, di magia. Di bellezza. Lui ha sempre cercato di circondarsi di bellezza sia sul palcoscenico che nella vita di tutti i giorni. Mescolava di continuo i due piani: vita e teatro. Non capivi dove finiva il danzatore e iniziava l’uomo Lindsay. 

Per questo ci ripeteva: «Danzate come se fosse la prima volta, con gioia e stupore. Pensate che ogni gesto, anche il più semplice, è un miracolo. Siate più generosi e coraggiosi possibile, non risparmiate nulla come se fosse l’ultima volta». Lui viveva così. 

E ancora, mi ha insegnato a dedicare ogni passo di danza al pubblico, ai danzatori con cui condividere il palco o la sala, ai tecnici. Per lui la danza non era un’attività privata, anzi ci invitava a fare di ogni gesto un regalo.

Era un danzatore, nel senso più ampio del termine, capace di fare di ogni momento una bellissima danza.

Il lavoro del danzatore

Prima di collaborare con Kemp, Daniela Maccari ha seguito il Wuppertal di Pina Bausch e poi ha lavorato con Micha van Hoecke. Com’è stato lavorare con questi grandi artisti?

Wuppertal è stata un’esperienza meravigliosa. Sono stata alcuni mesi con la compagnia in qualità di stagista. Assistevo alle prove e mi allenavo con loro. Mi è stata data un’opportunità favolosa che ho sfruttato al massimo. Poter ammirare Pina Bausch che creava le proprie opere è stato un arricchimento unico. 

Micha van Hoecke è un altro artista che stimo tantissimo. Ero giovanissima quando vidi Dusha, che vuol dire “anima”, e mi colpì molto l’intensità. Capii che la danza era la mia strada. Ho voluto fortemente danzare con l’Ensemble di van Hoecke. 

Mi ritengo molto fortunata per aver lavorato con questi grandi artisti. Non avrei mai potuto danzare con coreografi che parlassero un linguaggio differente. 

Davvero una gran fortuna, se si pensa che molti giovani danzatori oggi sono costretti a lasciare l’Italia per cercare lavoro.

Anche io, da giovane, sono stata fuori per un periodo. Ho fatto audizioni e provato anche stili diversi, e così ho capito che non volevo danzare uno stile che non sentissi mio.

Devo anche ringraziare la mia famiglia che mi ha sostenuta nei momenti più bui, mi ha permesso di aspettare che trovassi la mia strada. Così quando ho lavorato con van Hoecke e ancor più con Kemp, avevo la maturità per comprendere la fortuna di quello che stavo vivendo. La consapevolezza di gustarmi ogni giorno di prova, ogni ora di lavoro. 

Quali consigli dà Daniela Maccari a chi sogna di diventare un danzatore?

Come diceva anche Kemp, e con i moderni mezzi tecnologici: leggere, guardare, vedere il più possibile. E poi: essere liberi. Quando hai la conoscenza del passato, libertà e coraggio. Prendere il rischio di sbagliare, di sembrare ridicoli, ma fare quello che si vuole. E leggere, guardare, andare a teatro il più possibile ma anche documentarsi su internet. 

E studiare, non smettere mai. A volte i giovani, oggi, si lasciano prendere dalla presunzione, rischiando di mettere da parte lo studio al primo successo. 

Far brillare ancora la luce di Lindsay Kemp

Come mantenere viva la memoria del grande maestro?

Il forte senso di missione che avverto oggi, di continuare a mantenere viva la memoria di Lindsay Kemp, deriva forse dalla consapevolezza di cui parlavo prima. Insieme a David Haughton, altro storico collaboratore, e tutta la compagnia cerchiamo di far brillare ancora la sua luce. 

Proprio come abbiamo fatto a dicembre, a Napoli, con la mostra Gesti senza fine: un regalo per e da Lindsay, inaugurata presso l’Archivio Stato in occasione di Progetto 9cento. Colgo l’occasione per ringraziare AIRDanza e Roberta Albano per aver organizzato queste magnifiche giornate. 
E poi, c’è una grande mostra in Spagna con cui proviamo a dipingere la figura di Lindsay Kemp con oggetti di scena, fotografie, video e costumi.

Una missione che prosegue anche attraverso i workshop, gli spettacoli, il sito-archivio. È naturale continuare a proporre workshop dopo averlo affiancato sempre nelle lezioni, e provare così a trasmettere la sua poetica. 

Il sito, poi, si configura proprio come un archivio: c’è la sua biografia, tutti i suoi spettacoli, tante foto, video, delle bellissime note scritte da David Haughton. Il nostro intento è quello di rendere la sua arte accessibile a tutti e gratuitamente.      

Daniela Maccari, vedremo ancora sul palco gli onirici assoli di Lindsay Kemp?

Mi aveva chiesto di imparare i suoi assoli storici e di danzarli dopo di lui. Me lo propose all’improvviso, eravamo in sala prove e non sapevo come reagire. Ero stupita ma anche angosciata, perché per me li avrebbe danzati per sempre lui. Invece Kemp ha avuto anche in questo una visione totale e lungimiranza. 

Era per me un’emozione indescrivibile. Nessuno aveva mai neanche indossato i suoi costumi prima. Ma, al contempo, mi disse di sentirmi libera nell’interpretarli.

Così Kemp Dances si è trasformato in Kemp Dances Ancora, giocando sul doppio significato in inglese: “le danze di Kemp” e “Kemp danza”. David Haughton ha proposto questo nuovo titolo e quindi lo spettacolo è diventato un tributo. C’è la presenza di Kemp in video, come in Ricordi di una Traviata. Ci alterniamo come se fosse un duetto. 

E in altri collage video in cui si manifesta in tutte le trasformazioni dei suoi vari personaggi, introdotti da David, vera memoria storica. I nostri splendidi compagni di avventura sono Ivan Ristallo e James Vanzo. Con Ivan, generoso artista, ho la fortuna di danzare La Femme en Rouge, creata da Lindsay per noi. Nel Nijinsky, invece, “interagiamo” tutti con Lindsay in video.
Portiamo in scena inoltre l’intenso Mi Vida del maestro Luc Bouy, regalo prezioso.

Quali sono i prossimi progetti della compagnia e dell’archivio?

Da marzo abbiamo alcune date di Kemp Dances Ancora, lo portiamo in giro con gioia. 

C’è poi la ripresa di un altro progetto, a cui tengo tantissimo: il Premio Lindsay Kemp. La prima edizione è stata nel 2019, poi per ovvi motivi non abbiamo potuto organizzare la seconda che spero di poter attuare presto. Desideriamo, con questo Premio, dare un palcoscenico a giovani artisti. 

Col Premio, ma anche con i workshop, io e David Haughton desideriamo diffondere la poetica di Lindsay Kemp.

Per il sito, devo dire che la pandemia ha dato un impulso alla creazione di questo archivio digitale. David Haughton scrive bellissimi testi informativi. Sono visibili foto stupende ma ce ne sono ancora tante da scannerizzare. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma ogni nuova sezione che riusciamo a creare è una gioia. Ringrazio per questo anche la web designer Paola Autera, una collaboratrice preziosa e fondamentale.

Daniela Maccari in Ricordi di una Traviata, una delle coreografie di Kemp Dances Ancora. Foto di Giuseppe Liberati.

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