Cominciamo una nuova rubrica Pliè di pagina , letture ed approfondimenti che ci auguriamo creino interesse e curiosità in chi di danza vive, ma anche in chi la danza la conosce poco o voglia andare oltre l’attualità. Così come è sempre nello spirito del nostro dance magazine.
Approfondimenti che pubblicheremo anche in più di una puntata.
A firmare la rubrica Gabriella Stazio, editore di Campadidanza, ma prima di tutto coreografa, danzatrice, manager culturale.
Definire con parole la danza è cosa ardua. Ma per iniziare questa scrittura è necessario fare un tentativo.
La danza è l’arte del movimento nello spazio e nel tempo e più propriamente di un insieme di movimenti ritmici, selezionati e controllati tramite un percorso storico e culturale, il cui risultato è vissuto, conosciuto, riconosciuto e condiviso come danza sia dai creatori, che dagli esecutori che dagli osservatori.
La danza alle sue origini nasce con l’uomo e con il suo bisogno primario di movimento, nasce con il suo bisogno primario di rappresentarsi e di rappresentare, come bisogno primario di comunicare, di trasmettere e di ricevere, ancora prima della parola, emozioni e bisogni tramite il gesto, il movimento, il corpo, ed arriva fino a noi mutata nelle forme, ma forse, non nella sua essenza.
La danza nasce con il bisogno dell’uomo, di ogni uomo, di comprensione dell’incomprensibile, di comprensione del trascendente, come il tramite per il raggiungimento del divino, come il bisogno di trasformazione che si compie tramite il corpo, come il bisogno di partecipazione al rito per divenire rito essa stessa, incarnazione del sacro, manifestazione dell’esistenza fenomenologica dell’uomo, come della sua essenza.
Alle sue origini la danza non solo non distingue, ma non prevede suddivisione di ruoli tra chi danza, chi crea e chi guarda: tutto è compreso all’interno del cerchio, del medesimo atto rituale creativo, nella medesima condivisione di intenti.
Esempi di tale visione, di tale modo di sentire, di vivere la danza sopravvivono oggi solo in qualche rara cultura arcaica e primitiva ancora presente al mondo, od in quelle culture che sono riuscite a non recidere il senso della danza del passato con quella del presente, dove la danza è ancora vissuta e cioè creata, interpretata e guardata contemporaneamente dallo stesso individuo, che nel cerchio della danza si alterna con la comunità di cui è parte, in tutte le sue funzioni.
La divisione, la scissione di qualcuno addetto alla danza (interprete), di qualcuno addetto a guardare (pubblico), come di qualcuno addetto a creare (coreografo), è un processo posteriore alla danza rituale arcaica e primitiva, che si verifica per soddisfare le esigenze etiche, storiche e morali della cultura bianca, occidentale ed europea e che trasforma la danza da atto rituale, sociale e collettivo, in atto ricreativo oltre che creativo, in divertissement.
Un pittore è ancora oggi colui che crea,che esegue ed interpreta sé stesso e guarda la sua opera d’arte e per cui la sua opera esiste anche in assenza di spettatori, di pubblico e che continua ad esistere nel tempo e nello spazio anche in assenza del suo creatore.
Un coreografo invece se può essere danzatore di sé stesso, è pur vero che non potrà mai guardarsi, certamente sentirsi, percepirsi, immaginarsi, ma non osservarsi, oggettivarsi come altro da sé, come pubblico ed inoltre la sua opera d’arte smetterà di esistere nello stesso momento in cui la danza stessa sarà terminata.
L’ opera d’arte coreografica così come oggi è concepita, ha bisogno per esistere di qualcuno diverso da sé, che ne possa constatare l’esistenza, o meglio che possa constatare che è esistita in quel momento, almeno per un momento. Il pubblico è il testimone che quell’opera d’arte ha avuto vita, ha preso forma.
Già l’uso del termine arte dato nella nostra definizione connota la danza come un prodotto culturale occidentale, una categoria propria dell’Occidente non estendibile a tutte le altre culture.
La danza infatti a livello antropologico è perfettamente integrata nelle attività quotidiane del gruppo culturale di appartenenza come attività utilitaristica – danza della pioggia – e non puramente estetica, per cui esiste per il raggiungimento di un fine e non solo come attività fine a sé stessa.
Inoltre la danza diviene una complessa forma di comunicazione all’interno della stessa cultura ed è diretta alla formazione ed al rafforzamento dei membri di quel determinato gruppo umano e non di un altro, per cui anche da questa prospettiva sembra uscire fuori dal contesto fino ad ora delineato.
Al contrario la cultura occidentale ha estrapolato la danza dal tessuto quotidiano dell’individuo, dal gruppo culturale di appartenenza per farne un’attività, divenuta poi economica in quanto prodotto artistico, basata sull’evoluzione del senso estetico di una cultura ed estendibile poi, con il tempo, a più ampie e diverse culture.
Oggi la danza teatrale – colta – occidentale -dal vivo appartiene infatti sia alla cultura occidentale europea, statunitense e canadese, sia alla cultura orientale, valga come esempio per tutti il Giappone, sia alla cultura centro e sud americana ed australiana, benché alcune di queste culture siano riuscite a mantenere un doppio binario dove anche alla danza antropologica è permesso ancora di esistere.
La danza in quanto arte è un ‘attività umana produttrice di simboli, intendendo per simboli i volumi, le masse, i movimenti, le forme, i colori, i suoni, le luci che si organizzano e divengono codice della danza stessa, quindi il suo linguaggio.
(prima parte – vai al link per la seconda parte)
Grotta di Magura nel nord ovest della Bulgaria,pitture risalenti a 4000-8000 anni fa – in copertina
La Cueva de las Manos “la caverna delle mani” Patagonia
Kakadu nord dell’Australia
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