Beatrice Libonati
Beatrice Libonati in una foto di Jan Minarik.

NAPOLI – Beatrice Libonati torna a Napoli ospite al Campania Teatro Festival. Si esibirà infatti, in un cammeo, in Una sera ascoltando un vecchio tango mi sono addormentato e ho sognato Pina Bausch… Lo spettacolo debutterà venerdì 18 e sabato 19 giugno 2021 alle ore 21,00 presso la Reggia di Capodimonte, Prateria della Capraia.

Italiana nata in Belgio nel 1954, Beatrice Libonati è figlia d’arte. Il padre scultore, Francesco Antonio Libonati, e la madre stilista di moda. Studia a Roma, all’Accademia Nazionale di Danza, sotto la direzione prima di Jia Ruskaja e in seguito di Giuliana Penzi. Grazie alla vicedirettrice Margherita Abbruzzese nasce un gruppo sperimentale, sognato da Jia Ruskaja, condotto da Jean Cébron e di cui Libonati entra a far parte. La danzatrice segue poi l’affezionato maestro Cébron in Germania, a Essen.

Successivamente, Vittoria Ottolenghi e Alberto Testa la invitano a danzare al Festival di Spoleto, dove Beatrice Libonati si esibisce nell’assolo Modèle pour un Mobile affidatole dal maestro Cébron.
Lavora prima con Susanne Linke e poi, dal 1978 al 2006, fa parte della compagnia di Pina Bausch in qualità di danzatrice solista e assistente artistica. Memorabili le sue interpretazioni del repertorio della Bausch, tra le quali ricordiamo 1980 e Palermo Palermo.

Beatrice Libonati è autrice di numerose coreografie e quattro serate/assoli di danza. Inoltre, scrive diversi libri di poesie, che legge al pubblico in teatri e biblioteche, ed espone i propri quadri nelle mostre in giro per il mondo.
È sposata col danzatore Jan Minarik e attualmente vive in Germania.

Beatrice Libonati nello spettacolo diretto da Giuseppe Sollazzo

Vorrebbe raccontarci come è nata la collaborazione con il regista e autore dello spettacolo, Giuseppe Sollazzo?

Giuseppe Sollazzo mi ha contattata, tramite Gabriella Stazio, per chiedermi di partecipare alla realizzazione di Una sera ascoltando un vecchio tango mi sono addormentato e ho sognato Pina Bausch…
Sollazzo è un fanatico della Bausch, per cui mi ha raccontato la sua idea, chiedendomi di aiutarlo nell’allestimento delle coreografie, dei movimenti scenici e di apparire in un cammeo. Io in effetti non collaboro con la Tanztheater Wuppertal dal 2006, quindi per me è stato interessante e molto produttivo rimettermi in gioco.

Lo spettacolo che debutterà al Campania Teatro Festival è differente dal canovaccio iniziale, ma l’idea originale è rimasta invariata. È il prodotto della commistione di tante idee; ci siamo arricchiti l’un l’altro: Giuseppe mi esponeva i suoi progetti e io gli proponevo le mie opinioni. È stato uno scambio davvero costruttivo.

Quale emozione si prova all’idea di tornare sul palco dopo più di un anno di fermo? Di trovarsi davanti al pubblico senza il filtro delle telecamere?

Poter fare qualcosa sulla scena, poter tornare a trasmettere è un’emozione molto forte. C’è un flusso dentro di noi – non solo dentro di me, lo vedo in tutti i partecipanti dello spettacolo – che preme per uscire fuori. C’è la gioia di volersi di nuovo aprire e dire qualcosa al pubblico.

Quale riscontro si aspetta dal pubblico napoletano?

Gli artisti che prendono parte allo spettacolo sulla Bausch sono napoletani e sono tutti molto carini con me, dei gioielli. Quindi immagino che anche il pubblico napoletano sarà molto caloroso.

Certo, ho visto la platea che il Campania Teatro Festival ha allestito nella Prateria della Capraia, a Capodimonte, e ho notato che purtroppo i posti a sedere sono molto distanti tra loro. Ma al contempo so che è giusto che sia così: la pandemia non va presa sotto gamba e la prudenza non è mai troppa.

Tra gli interpreti, danzatori e attori napoletani, ci sono anche dei non professionisti. Come è lavorare con loro?

Non ho avuto nessuna difficoltà poiché non è la prima volta che interagisco con dei non professionisti. Infatti dal 1998 fino al 2006 ho lavorato a Kontakthof over 65, portandolo in scena anche in Italia. Paradossalmente, è stato più faticoso allora che adesso perché ora c’è tanta voglia di fare.

Ho visto un tale entusiasmo e una voglia di imparare, di ascoltare. È stato un viaggio alla scoperta di se stessi per tirare fuori le proprie emozioni. Per me è stato molto bello e credo anche per loro: dalle loro parole ho capito che erano grati di aver vissuto questa esperienza.

Lo spettacolo presenta una fusione tra le arti che forse siamo poco abituati a vedere in Italia. Eppure è naturale che esista un dialogo tra discipline artistiche differenti e lei ne è l’esempio.

Si, io ho trovato il modo di esprimere le mie idee liberamente anche attraverso le poesie e questo mi ha aiutata tanto a svilupparmi come artista. Leggo i miei scritti in pubblico in tante strutture differenti: biblioteche, università, teatri. Sono sempre molto attiva.

Purtroppo il corpo è quello che è, quindi per un danzatore è importante riuscire a trasmettere le proprie emozioni anche attraverso altre discipline. Ogni mezzo di espressione delle emozioni è sempre valido.

In Una sera ascoltando un vecchio tango mi sono addormentato e ho sognato Pina Bausch come interagiscono le varie arti tra loro?

Le cose accadono: la danza accade quando deve accadere. Se deve accadere lì, in quel momento, la faccio accadere lì.

La danza in Italia tra passato e presente

Nella sua formazione, Beatrice Libonati è stata anche all’Accademia Nazionale di Roma. Cosa pensa del fatto che in Italia ci sia solo un’Accademia?

Penso che sia un peccato che ce ne sia solo una. Ai miei tempi mi sentivo una privilegiata perché era l’unica scuola di danza statale. È questo era un’ottima cosa perché consentiva a molte persone, che non avevano le risorse economiche per potersi formare privatamente, di accedere a una scuola statale.

C’erano anche delle borse di studio, io stessa ne ho avuto accesso. Dava un’ottima preparazione tecnica, quello che mancava un po’ erano forse gli spettacoli.

Che differenza c’è, da questo punto di vista con la Germania?

Anche in Germania le Accademie si contano sulle dita. Alla scuola di Essen c’è una preparazione in danza espressionistica sviluppata da Jean Cébron, poi ci sono la tecnica classica, le danze folkloristiche. Quando lavoravo con Susanne Linke, frequentavo i corsi della scuola di Essen per mantenermi in allenamento e c’era una gran varietà, cosa che in Accademia in Italia mancava.

Adesso so che ci sono più corsi anche a Roma. Ma devo dire che comunque lo sviluppo è più veloce in Germania e poi ci sono molti spettacoli, si balla molto anche durante l’anno. E, in verità, so che ora anche a Roma è così: si da la possibilità agli allievi di esibirsi più volte mentre in passato c’era solo uno spettacolo alla fine dell’anno accademico.

Quindi in Germania gli spettacoli girano molto di più? E durante quest’anno in cui il mondo si è fermato a causa della pandemia che differenza ha riscontrato tra l’Italia e la Germania?

Sì, gli spettacoli di danza girano di più ma purtroppo a causa della pandemia anche in Germania i teatri sono stati sempre chiusi.

A maggio 2020, per esempio, dovevo tenere delle letture in pubblico delle mie poesie ma non è stato possibile poiché la situazione era molto difficile in Germania, forse anche di più dell’Italia.

Beatrice Libonati oggi vive in Germania: guardando l’Italia dall’esterno, cosa ne pensa della danza di oggi?

In verità non venivo in Italia da un anno e mezzo a causa del Covid. Per cui posso parlare della danza prima della pandemia: l’Italia è molto molto arretrata.

Dipende anche da dove vado: noto che c’è differenza tra quando tengo workshop in Accademia e quando privatamente. In Accademia in passato era quasi più difficile, come se i ragazzi non fossero entusiasti, forse non comprendevano l’importanza del messaggio. Ma l’ultima volta che sono stata a Roma, invitata dalla direttrice Enrica Palmieri, ho percepito che gli insegnanti avevano preparato i ragazzi alla lezione e c’era una bella atmosfera.

Devo dire però che quando vado nelle scuole private c’è un altro entusiasmo, percepisco che la genta ha proprio voglia di danzare. Forse perché i danzatori non guadagnano molto e quindi quando partecipano ai miei workshop vengono perché davvero lo desiderano.

Che consiglio sente di voler dare a chi vuole intraprendere la carriera di danzatore in Italia?

La prima cosa: essere disciplinati con se stessi. Ci vuole grande autodisciplina e disciplina verso quest’arte. La seconda cosa importantissima è: non perdere il contatto umano. Bisogna trovare il giusto equilibrio e non lasciare che il rigore abbia la meglio sul nostro lato più umano, ma neanche il contrario.

E anche di non perdere il contatto con la famiglia, perché in fondo è l’amore l’unica cosa che resta.

Una sera ascoltando un vecchio tango mi sono addormentato e ho sognato Pina Bausch

Con Enzo Barone, Giulia Conte, Selvaggia Cotroneo, Rosario D’Angelo, Salvatore Esposito, Annamaria Ferrentino, Claudia Limatola, Melania Pellino, Annita Vigilante
E in alternanza Mariella Avellone, Brunello De Feo, Fabiola Mele, Fortuna Montariello, Massimo Nota, Carlo Paoletti, Mariella Pandolfi, Giusi Palmisani, Rosa Pelliccia, Michele Romeo Di Tuosto, Antonino Scialdone, Cristina Sica, Antonio Tomberli, Stefania Valli
E con la partecipazione straordinaria di Beatrice Libonati
Regia e drammaturgia Giuseppe Sollazzo
Movimenti coreografici Beatrice Libonati
Collaborazione artistica Gabriella Stazio
Elementi scenici Massimo Nota
Costumi Maddalena Marciano
Disegno luci Luigi Della Monica
Maschere e parrucche Kriss Barone
Fantocci Flavia D’Aiello
Direzione tecnica Vittorio Barresi
Direttore di scena Salvatore Lonz
Assistente volontario alla regia Gabriele D’Aquino
Assistente volontaria ai costumi Diana Magri
Tecnico suono Giuseppe Caliendo
Produzione Associazione Jules Renard

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