(quarta parte)

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Nell’antica Grecia non solo la mimica ma il corpo intero era espressione del mondo interiore come dimostra d’altronde la rappresentazione scenica mediante le maschere. Il gesto e il movimento che possono rispecchiare uno stato d’animo, un’emozione interiore, nell’arte antica partecipano alla tipizzazione. Molti gesti rituali ma anche spontanei di origine orientale vennero ripresi e pian piano nobilitati sempre più dai Greci. I gesti di preghiera ad esempio erano straordinariamente vari ma nelle rappresentazioni figurative di essi molto contava il fatto che gli artisti deformavano gli atteggiamenti reali a seconda delle proprie intenzioni. Un gesto singolo era l’aposkopein. Nel libro XIV dei Deipnosofisti Ateneo elenca alcune danze e alcuni schemata tra cui lo skops e lo skopeuma. Lo skops era lo schema di chi guarda lontano ponendo la mano ad arco sulla fronte da cui il gesto dell’ hyposkopos cheir o dell’aposkopein, letteralmente il “guardare lontano”. I Greci raffiguravano spesso Pan, divinità popolare per metà uomo e per metà caprone legata alla vita dei contadini e dei pastori, con la mano verso la fronte a proteggere gli occhi. La spiegazione normalmente proposta è quella del dio che controlla da lontano le greggi, ma è anche vero che gli antichi mettevano in relazione la figura di Pan con l’evento inaspettato, la sua apparizione improvvisa e minacciosa capace appunto di suscitare terrore. Non si esclude la possibilità che la figura di Pan con la mano alzata volesse significare  e descrivere gli effetti del dio sugli uomini poiché il gesto veniva usato anche per raffigurare i satiri, figure per metà uomo e per metà animali, sempre accanto al dio Dionisio. In quest’ultimo caso è probabile che il gesto stesse a significare la sorpresa davanti l’epifania di un dio “maggiore”, lo sconcerto davanti il manifestarsi inatteso del sacro. L’aposkopein probabilmente per i Greci aveva una doppia scelta: un’azione oppure un’emozione. Sia Ateneo sia Esichio utilizzano il termine skopos per indicare il caratteristico schema della danza chiamata skopeuma in cui è peculiare il gesto dell’aposkopein. Il gesto di chi guarda lontano con la mano posta ad arco sulla fronte che fa ombra agli occhi ricorre in una classe di statuette del tutto singolare (di queste vi sono conservate pochissimi esemplari, testimoniati, in compenso, dall’età romana fino al Medioevo e oltre): i “soffiatori”. Piccole sculture di bronzo che riempite d’acqua venivano poste vicino al fuoco in modo che l’acqua venisse soffiata fuori attraverso fori praticati appositamente; seduti o inginocchiati a terra, talvolta con l’apparato sessuale ben evidente, hanno la mano sulla fronte. Con forme e caratteri molto simili a quelle dei satiri greci quindi forse a voler conservare in essi la volgarità e istintività dei satiri,attraverso il gesto dello stupore improvviso delle mitiche creature semiferine. L’impiego dell’hyposkopos cheir all’interno delle danze era solo uno di alcuni impieghi dello specifico gesto, esso poteva essere eseguito anche da personaggi impegnati nella scena non danzatori. In altre parole questo schema, come d’altronde numerosi altri, era utilizzato in tutte le arti e se combinato con altri movimenti, diveniva uno schema di danza. Per quanto riguarda le testimonianze figurate inoltre, questo schema non era utilizzato solo dai satiri: era in generale legato al motivo del cercare. L’aposkopein non sarebbe stato utilizzato solo dai satiri ma avrebbe avuto larghissimo impiego anche in tragedia. In Edipo a Colono di Sofocle il messaggero racconta ed evoca la scena del drammatico momento della scomparsa di Edipo: (…Edipo non lo vedemmo da nessuna parte; solo il re che teneva la mano davanti agli occhi come gli fosse apparso qualcosa di terrificante, insopportabile a vedersi…). Quindi o come schema di meraviglia o come schema di paura questo gesto veicolava determinati phate. Lode diffusa per i danzatori e attori greci era quella di trovare schemata. Ateneo menziona il danzatore-filosofo dei suoi tempi detto Menfi il quale attraverso schemata riusciva a raggiungere una straordinaria eloquenza senza parole ma già Aristotele nella Poetica sottolineava l’importanza della capacità del danzatore e dell’attore di saper scegliere ed eseguire al meglio schemata pertinenti ad un determinato argomento. I tragediografi greci ci offrono numerosi esempi di schemata che veicolano un pathe ben definito dentro e fuori il contesto orchestrico. E’ il caso dello schema schema di Atena accuratamente descritto in un commento alle Capre di Eupoli ritrovato su un papiro di Ossirininco: … poiché il rustico eseguiva in modo rigido lo schema di  Atena, il maestro di danza gli ordinò di eseguirlo in modo morbido. Aristofane si contenta del solo epiteto di Tritogenia e Cratino di quello di Gorgodrakontodoka ( colei che aspetta la Gorgone) (?) per indicare la stessa cosa e cioè che lo schema della dea viene danzato spesso inclinando la testa. La descrizione fa particolare riferimento all’Uccisione di Gorgone da parte di Atena o di Perseo e Atena insieme. Lo schema di Atena (un particolare schema appartenente al contesto della danza pirrica e consistente nel movimento di rotazione del capo a destra e/o sinistra oppure di flessione del capo avanti o indietro) è uno schema di danza che conserva un riferimento funzionale ad un avvenimento altamente specifico di natura narrativa: l’uccisione della Gorgone. Uno schema quindi migrato da un contesto narrativo e cristallizzatosi in un contesto orchestrico. Gli schemata quindi possono migrare da un medium all’altro, da contesti orchestrici a contesti non orchestrici e viceversa, veicolando e conservando un significato dal  nucleo  però molto generale poiché il loro riutilizzo in contesti diversi può come spesso accade modificare o variare il significato originario come nel caso del gesto dell’aposkopein cheir. L’aposkopein rimane nella memoria culturale e dall’iconografia rinascimentale, amplificato arriva fino all’Ottocento, utilizzato nelle scene di stupore ( per es. apparizione del fantasma in Amleto) e al cinema muto. Altro esempio di ricorrenza di schemata storici potrebbe essere il movimento di far scorrere la testa sulle spalle come su un binario di Arlecchino nella Commedia dell’Arte in uso anche fra gli attori balinesi e che diventa acrobazia fisica di comicità travolgente nel teatro e nel cinema di Totò.

(continua)

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Fabiola Pasqualitto

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Articolo tratto da “Gli schemata nel teatro classico e nella Commedia dell’Arte”, di Fabiola Pasqualitto (Tesi di LM in Drammaturgie dello Spettacolo, Università “La Sapienza” di Roma)

Bibliografia di riferimento

M.L. Catoni, Schemata. Comunicazione non verbale nell’antica Grecia, Scuola Nazionale Superiore di Pisa, 2005.

  1. Ahlberg Cornell, Prothesis and ekphorain Greek geometric art, Aström edition, 1971.
  2. Blasis, Trattato dell’Arte della danza – Edizione critica a cura di Flavia Pappacena, Gremesi Editore, Roma 2008.
  3. Ripa, Iconologia, (prima edizione, senza illustrazioni). Dal 1603 (edizioni con illustrazioni), Roma 1593.
  4. Mariti, Transiti tra Teatro e scienza, dalla mimesis tou biou al bios della mimesis, in AA.VV., Dialoghi tra teatro e neuroscienze, Edizione Allegre, Roma 2009.
  5. Guatterini, L’ABC del Balletto, Arnoldo Mondadori, 1998.

 

Foto: Pan, 450 a.C. circa, Berlino, Staatliche Museen

 

 

 

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Giornalista e critica di danza, danzatrice, coreografa, docente di materie pratiche e teoriche della danza, docente di Lettere e Discipline Audiovisive. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo e specializzata in Saperi e Tecniche dello Spettacolo all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Dal 1990 è direttore artistico e insegnante del Centro Studi Danza Ceccano e curatrice del ”Premio Ceccano Danza". E’ inoltre direttrice e coreografa della CREATIVE Contemporary Dance Company.