Manager della cultura con una profonda conoscenza dell’ambiente internazionale, professionista con oltre 25 anni di esperienza nel settore dello Spettacolo dal Vivo, è esperta di Teatro, Musica e Danza e specializzata nella produzione di spettacoli, festival e nell’organizzazione di attività ed eventi culturali. Stiamo parlando di Anna Cremonini, che dal 2018 è direttore del Festival Torinodanza, ma precedentemente, tra le tante esperienze, ha lavorato al Teatro dell’Opera di Roma, al Teatro Mercadante di Napoli, all’ETI ed è stata anche Presidente della Commissione consultiva per la Danza del MiBACT DG Spettacolo dal Vivo. La contattiamo nell’ambito dell’inchiesta Covid 19/Si cambia danza.

Quanto ci cambierà questa pandemia vissuta? E come modificherà le nostre abitudini? Sicuramente con il Covid il mondo è stato costretto a usare maggiormente le tecnologie e le piattaforme streaming…

Si è vero, ma dico subito che personalmente non amo lo streaming. Come tante persone ho approfittato del tempo a disposizione per vedere cose che avevo perso, filmati storici. Ho visto tanto, ma l’ho fatto per necessità. La tecnologia ci ha reso nel 2020 tutti più raggiungibili. Abbiamo imparato ad usare mezzi che non conoscevano, ma è una fase che va contestualizzata. Credo fortemente che si debba preservare la natura e l’anima dello spettacolo dal vivo.

In molti però dicono che la pandemia non ha fermato la creatività, ma forse ha modificato il processo creativo. E’ cambiato il suo modo lavorare?

Non so ancora quanto questa esperienza modificherà negli anni il nostro modo di lavorare. E’ troppo presto per dirlo, anche perché non siamo ancora fuori da questa orribile esperienza. So per certo che abbiamo perso la corporeità nella vita privata. Abbiamo ancora paura di abbracciare e di baciare. Ora dobbiamo capire tutto questo quanto influirà, a lungo andare, nel mondo dell’arte. A teatro viviamo ancora con l’incubo di essere chiusi da un momento all’altro. Dobbiamo lavorare per prepararci a una vera riapertura e a riconquistare il pubblico.

Secondo Anna Cremonini quando l’emergenza sarà finita, lo spettacolo dal vivo continuerà ad usare alcuni strumenti che è stato costretto ad usare in pandemia?

Gli artisti sicuramente sapranno elaborare gli avvenimenti vissuti. Tutto sarà metabolizzato e quindi recuperato. Qualcosa sicuramente cambierà. D’altraparte è cambiato il nostro modo di vivere e quindi dovrà, di conseguenza, modificarsi anche il processo culturale.

E’ cambiato il suo modo di lavorare anche ora che siamo tornati in presenza?

Il mio modo di lavorare è stravolto. Non viaggio più. L’ultima trasferta risale alla fine di febbraio 2020. Prima prendevo un aereo o un treno almeno due volte al mese. Mi spostavo per vedere spettacoli, contattare compagnie. Per programmare un festival è necessario muoversi, incontrare gente. Parlare, discutere, trattare. Quest’anno Torinodanza presenterà spettacoli più piccoli, anche sulle nuove creazioni mi sono dovuta mantenere. Ho constatato, però, che si è creata una maggiore complicità tra organizzatori e artisti. Stiamo imparando tutti a condividere e a lavorare in armonia. Penso che oggi più che mai noi direttori dobbiamo essere a disposizione degli artisti.

Lo spettacolo dal vivo è indispensabile alla vita sociale?

E’ indispensabile come la Sanità, l’Economia, il Commercio. Senza lo spettacolo dal vivo un Paese non ha un’anima. E’ ripiegato su sé stesso. Trovo gravissimo, poi, che durante la pandemia il mondo dello spettacolo, e soprattutto quello della danza, si sia sentito abbandonato. Questo non può e non deve accadere in un paese civile. Inoltre ora i miei timori riguardano le risorse limitate. Ho paura che la crisi determinata dalla pandemia possa farci piombare in ulteriori difficoltà.

Si dice che una crisi sia allo stesso tempo un pericolo e un’opportunità.

Io non vedo opportunità, ma al momento soltanto criticità. Mi piace essere concreta. Le opportunità ci saranno se i decisori politici si sveglieranno e si renderanno conto di quanto è importante il comparto dello spettacolo dal vivo e quanto è importante la danza.

Parliamo del sistema di formazione dei danzatori e delle professioni della danza.

I percorsi sono confusi. Certo, se hai qualcosa da dire alla fine arrivi al traguardo, ma in Italia si fa molta più fatica che nel resto del mondo. E soprattutto spesso i talenti vengono mortificati. Se non individuano la strada da seguire, spesso si perdono. Soltanto l’Accademia Nazionale di Danza fa Alta Formazione ed è equiparata ad una Università. Troppo poco. Ce ne vorrebbero altre. E poi nel nostro paese esiste un altro problema: non c’è stato un passaggio conseguenziale tra il balletto classico e la danza contemporanea. Nel teatro la ricerca ha trovato un suo spazio. Nella danza, in Italia non abbiamo avuto un Forsythe e questo probabilmente ci ha danneggiato,

Spesso si dice che bisogna formare anche il pubblico. Lei che cosa ne pensa?

Il pubblico non conosce i problemi del settore e forse è giusto che sia così. Il pubblico si costruisce, si conquista. A Torino c’è un bel pubblico. Lo definirei “Dialettico”. E’ un pubblico che ama “parlare” con il teatro e questo a me piace molto. Inoltre le nostre sale sono frequentate da molti giovani. Negli anni è stato fatto un gran lavoro sulle nuove generazioni e ora si stanno raccogliendo i frutti.

E’ necessario secondo lei fare un censimento degli artisti e delle strutture di spettacolo?

Un censimento? Ma nelle domande ministeriali noi rispondiamo a mille quesiti e diamo informazioni dettagliate. Non basta?

La distribuzione territoriale delle risorse ha una parte decisiva nella vita artistica. Secondo lei è equa?

No. C’è una grande differenza tra Nord e Sud per quanto riguarda la danza. E a parlare sono i numeri.. in Lombardia, Toscana, Emilia Romagna sono sempre arrivati molti soldi. In Piemonte anche ma i finanziamenti servono soprattutto per i festival. Al Sud c’è Romaeuropa che spopola. In Trentino due festival Rovereto e Bolzano. Al di sotto di Roma arriva poco. Eppure la Campania e la Sicilia (e non solo) sono molto vive nella danza. Ma questo non significa il disequilibrio territoriale c’è e c’è sempre stato.

Tanto tempo. Perché la burocrazia è farraginosa. Il meccanismo delle domande ministeriali è complesso. Si perde un sacco di tempo.

La danza contemporanea in Italia è sostenuta a macchia di leopardo In Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, sono sempre arrivati molti soldi. In Piemonte anche ma i finanziamenti arrivano per i ¾ per i Festival. Al Sud c’è Romaeuropa che spopola, in Trentino 2 festival Rovereto e Bolzano. Al di sotto di Roma ci sono molti problemi. Eppure la Campania e la Sicilia sono molto vivi. Ma questo non significa niente. Il diseguilibrio territoriale c’è.

Se improvvisamente avesse il potere di risolvere i problemi del mondo della danza, che cosa farebbe?

Darei più finanziamenti, perché solo così si va avanti. I talenti li abbiamo ma bisogna metterli in condizione di proseguire e questo secondo me si può fare solo mettendo a disposizione della danza più finanziamenti. E poi mi attiverei per creare maggiori possibilità internazionali. Il dialogo con il mondo è fondamentale.

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Giornalista professionista dal 1987, è direttore responsabile di Campadidanza Dance Magazine, fondato nel 2015 con Gabriella Stazio. Dopo aver lavorato per quasi venti anni nelle redazione di quotidiani, ha scelto la libera professione. E’ stata responsabile Ufficio Stampa e pubbliche relazione del Teatro di San Carlo, del Napoli Teatro Festival Italia, dell'Accademia Nazionale di Danza, responsabile Promozione, e marketing del Teatro Stabile di Napoli/Teatro Nazionale. Ha curato numerosi eventi a carattere nazionale e internazionale. Con Alfredo d'Agnese, nel 2015 ha fondato R.A.R.E Comunicazioni società press & communication.