Dro, (TN). Dal 20 al 28 luglio 2018 arriva Supercontinet², la trentottesima edizione di DRODESERA, il festival di arti performative con sede presso Centrale Fies, l’attivo centro di residenza artistica e produzione di performance e performing art.

Nel supercontinent  puoi montare una tenda per la notte nel deserto e uscendo al mattino ritrovarti sulla cima della montagna. Questa è la frase che ha accompagnato l’edizione 2017 del festival, che ha visto emergere dall’oceano Supercontinent. Questo anno Centrale Fies non raddoppia bensì eleva al quadrato: Supercontinet². Una serialità presente non sono nel titolo ma soprattutto nella tematica: la nascita di una nuova Pangea data dai movimenti geologici e dalle tratte migratorie così come dall’intrecciarsi delle discipline e delle arti. Una terra in espansione, in movimento perpetuo che non cessa di generare domande, ipotesi, spostamenti, incontri inaspettati. Camminano su questo continente: Performer, artisti, filosofi, curatori, sound designer, architetti, ricercatori, registi in procinto di riappropriarsi tanto delle tradizioni e dei simboli quanto del proprio futuro, aprendo nuove visioni, cambiando di posto alle cose, producendo biodiversità e complessità di segno, di contenuto, di nuovi sguardi in nuove terre compiendo atti sciamanici.  Centrale Fies si riconferma così un melting pot artistico e culturale,   dove l’istituzione diventa una struttura porosa sia per l’influenza degli artisti sia per l’influenza del contesto culturale e viceversa.

Sei pronto ad approdare su questa nuova terra?

In programma il 12 giugno la preview di questa 38esima edizione di DRODESERA con l’opera di teatro musicale Curon/ Graun di OHT con l’ORCHESTRA HAYDN ORCHESTER, a cui si accederà direttamente da una delle piste ciclabili più belle del Trentino, quella tra il lago di Garda e la Valle dei Laghi. A seguire il 7 luglio l’opening di una mostra antologica di Giovanni Morbin, artista concettuale che negli ultimi anni ha condotto una ricerca sulla natura di forma e immagine concretizzata da atomizzazioni di oggetti comuni come ideale riordino artistico del mondo. A dare il via al festival dal 20 al 22 luglio sarà la sesta edizione di LIVE WORKS Performance Act Award la piattaforma dedicata alla performance art nella quale Centrale Fies continua a rinnovarsi stravolgendo le regole dei premi. Fino al 28 luglio,  ad attendere gli avventori di Centrale Fies ci sarà una programmazione artistica capace di restituire la ricerca contemporanea sul teatro e sulle arti performative.

Il programma di Supercontinet² 2018:

20_28 LUGLIO FESTIVAL

Direzione Artistica di Barbara Boninsegna, co-curatela Filippo Andreatta

LIVE WORKS Vol.6 20-21-22.07

Live Works apre la trentottesima edizione del festival riconfermando Centrale Fies luogo di indagine, formazione e sperimentazione attorno all’idea di live. Un bando internazionale alla ricerca di artisti invitati a partecipare alla free school estiva di Fies, con residenze, lezioni collettive e critical session il cui obiettivo è di produrre nuove performance da presentare dinnanzi al pubblico del festival Drodesera e a una guest board di curatori e direttori di importanti centri di produzione artistica. Quest’anno, tra i guest curators: Alessio Antoniolli Direttore di Gasworks, Londra, Alexander Roberts curatore e producer, Anne Breure Direttrice della Veem House for Performance di Amsterdam, Gundega Laivina Direttrice di Homo Novus Festival di Riga, Juan Canela curatore e scrittore, Vittoria Matarrese curatrice di Performance Art al Palais de Tokyo, Parigi.

L’AMICALE DE PRODUCTION

Germinal (25-26.07) Un gruppo di performer vive il palcoscenico come uno spazio vuoto e fecondo dove tutto è possibile e in divenire. È in questo spazio che tenteranno di creare un ecosistema, un mondo, decidendo di costruire e decostruire la storia delle scienze, delle tecnologie e delle strutture sociali in modi sperimentali. La loro missione è rifare tutto daccapo ma con la massima cura e buon senso, senza intenzioni moralistiche. In Germinal si arriva a reinventare anche la ruota, mettendo quasi tutto in discussione: dalle leggi della fisica alle fondamenta dell’interazione sociale, in un viaggio coinvolgente alla velocità della luce che appassiona, diverte, e fa riflettere sulla complessità di un (nuovo) mondo all’ interno del contesto ristretto del palco vuoto capace di contenere ogni cosa.

TIAGO RODRIGUEZ

By heart (26-27.07) By heart è una performance sull’importanza della trasmissione, del “contrabbando invisibile di parole e idee” che avviene nel momento in cui ricordiamo un testo, una poesia o delle parole a memoria. L’opera si rifà a un teatro che riconosce se stesso come quel luogo di trasmissione di ciò che non si può misurare in metri, euro o byte. Riguarda il nascondiglio sicuro che i testi proibiti hanno sempre trovato nei nostri cervelli e nei nostri cuori, come garanzia di civiltà anche nei periodi più barbari e desolati. George Steiner, in un intervista al programma televisivo Beauty and Consolation disse: “quando 10 persone conoscono una poesia a memoria non c’è nulla che KGB, CIA o Gestapo possano fare a riguardo. Sopravviverà.” By heart è un programma di allenamento alla resistenza che finisce solo quando “10 nuovi soldati” imparano a memoria una poesia. Facendola sopravvivere al tempo, qualsiasi cosa accada.

JACOPO JENNA

IF, IF, IF, THEN (25-26.07) IF, IF, IF, THEN è una serie probabilistica, un algoritmo sull’evoluzione. Uno dei principi del Darwinismo universale è che ogni informazione che subisca variazioni e sia selezionata produrrà progetto. La coreografia tende a ricollocare culturalmente grammatiche diverse di movimento, definendo una forma astratta di costruzione ed osservazione della danza. Il corpo vuole essere presentato come la realizzazione di un potenziale virtuale di innumerevoli stati materiali, che solo in parte si concretizzano nel tempo attraverso un processo continuamente ridefinibile. I danzatori sono contenitori postmoderni, un insieme articolato di riferimenti ibridi legati alle varie forme di street dance e alle pratiche della danza contemporanea, con le quali possono spostarsi in un secondo da questo a quel codice, senza tuttavia mai trovare un terreno stabile su cui sostare.

UROK SHIRNAN

Empty Orchestra (27.07) Empty Orchestra riprende l’etimologia della parola composta giapponese “karaoke: kara che significa ‘vuoto’ e kesutora che significa ‘orchestra’. In questo progetto, tra i vincitori di LIVE WORKS dello scorso anno, Urok Shirhan mette in scena una performance che sviscera le tematiche di nazionalità e appartenenza attraverso il canto e la sua voce potente, chiara, ipnotica. Questa performance fa parte del corpus di ricerca di Shirhan più recente dove il tema della voce viene messo in discussione: il modo in cui viene usata nella performance, registrata, e resa udibile. Anche la “lingua” araba è protagonista, posta in relazione alle lingue parlate, alla fonetica, agli accenti e ai dialetti. Alla base del lavoro vi sono le nozioni di rimozione e assimilazione, entrambe comprese sia nel senso di forma estetica, che come migrazione geografica.

MARCO D’AGOSTIN

Avalanche (25.07) I due esseri umani protagonisti vengono osservati da occhi ciclopici come antiche polveri conservate in un blocco di ghiaccio. Camminano all’alba di un nuovo pianeta, sotto il peso della loro millenaria tristezza. Tutto quello che non è sopravvissuto agisce, invisibile, su tutto ciò che invece è rimasto e che viene rievocato come regola, collezione, elenco di possibilità. La danza si pone in una costante tensione verso l’infinito dell’enumerazione, alla ricerca accanita di un esito. Gli occhi socchiusi, come a proteggere lo sguardo dalla luce accecante di un colore mai visto, afferrano l’abbaglio di un’estrema possibilità: una terra di sabbia e semi sulla quale qualcuno imparerà nuovamente a muoversi, dopo che anche l’ultimo archivio sarà andato distrutto.

SOTTERRANEO

Overload (27-28.07) 1 paragrafo. 199 parole. 1282 caratteri. Tempo previsto 1’10’’. Riesci a leggere questo testo senza interruzioni? L’attenzione è una forma d’alienazione: il punto è saper scegliere in cosa alienarsi. Per questo sembriamo sempre tutti persi a cercare qualcosa, anche quando compiamo solo pochi gesti impercettibili attaccati a piccole bolle luminose e non si capisce chi ascolta e chi parla, chi lavora e chi si diverte, chi trova davvero qualcosa e chi è solo confuso. Sei arrivato fin qui senza spostare lo sguardo? Davvero? E non è insopportabile questo sforzo di fare una cosa soltanto alla volta? Guardati attorno: quante altre cose attirano la tua attenzione? Ora guardati dall’alto: riesci a vederti? Le superfici dei territori più densamente abitati della Terra sono coperte da una fitta nebbia di messaggi, immagini e suoni in cui le persone si muovono, interagiscono, dormono. A volte si alzano rumori più intensi, che la nebbia riassorbe subito mentre lampeggia e risuona. Visto da qui il pianeta sembra semplicemente troppo rumoroso e distratto per riuscire a sopravvivere -persino i ghiacciai si sciolgono troppo lentamente perché qualcuno presti attenzione alla cosa. Torniamo al suolo e guardiamoci da vicino: stiamo tutti mutando…in qualcosa di molto, molto veloce.

BUILDING CONVERSATION  / LOTTE VAN DEN BERG

Conversation without words (25-26-27-28.07) La società fortemente polarizzata in cui viviamo sembra chiedere disperatamente una rinnovata attenzione per la conversazione e per il dialogo tra le persone. Ma come si possono ricreare circostanze speciali in grado di stimolare nuove conversazioni? Conversation without words vuole tentare di scatenare questa dinamica di dialogo e di porre l’attenzione al modo in cui comunichiamo, creando uno spazio dove poter far pratiche di conversazione, al di fuori della realtà quotidiana, al di là delle tensioni, degli effetti e di ciò che accade tutt’attorno in quel preciso istante. Ogni anno i capi tribù Inuit si siedono tutti assieme, a volte per delle ore, guardandosi senza dire una parola. Marina Abramovich in The artist is present, fa sedere di fronte a sé un visitatore chiedendo di tenere per interi minuti gli occhi negli occhi. L’intensità che scaturisce quando ci si guarda l’un l’altro senza dire niente è immensa. A Centrale Fies, con questa performance collettiva che coinvolge il pubblico, praticheremo una conversazione silenziosa che permetterà di indagare il contatto umano e i legami diretti che si possono creare all’interno dell’intensità di un momento condiviso in silenzio.

 ALMA SÖDERBERG AND HENDRIK WILLEKENS

Wowawiwa (28.07) WOWAWIWA è un progetto musicale nato in un bar dell’aeroporto di Zagabria che col suo titolo cerca di trasmettere l’amore e l’entusiasmo per il ritmo e le sonorità e l’attrazione per le battute musicali e per creare sempre nuovi ritmi. “La nostra musica emerge dall’interazione tra vari ingredienti sonori. La voce alimenta il microfono che attiva lo spring reverb il quale, a sua volta, si incanala nel sampler che trasforma la voce in battiti, linee di basso e altri suoni. Drum sequenzer si distribuiscono nel synthesizer sparato da modulatori CV che modellano la melodia.” L’orecchio ascolta il Synthesizer e comanda alla voce di imitarlo, l’imitazione è catturata a sua volta dal microfono creando intensi giochi attraverso un linguaggio libero e musicale.

DEWEY DELL

I’m within (28.07) Ogni tanto, nella quotidianità della vita, può succedere di imbattersi in qualcosa che avvertiamo come ‘troppo’, che facciamo fatica a sostenere con lo sguardo o con l’udito. Soprattutto in questi momenti, quando proviamo a cercare le parole per descrivere cosa proviamo, il linguaggio ci risulta talmente povero da gonfiare un’ombra tra noi e quello che accade: ci sentiamo soli anche se circondati da altre persone. Qualcosa rimane incastrato dentro, dietro di noi, non riusciamo a condividerlo pienamente con nessuno eppure è qualcosa che fonda la persona che siamo. In questa solitudine – ombra irrisolvibile – si attiva una reazione potente: la capacità di diventare la difesa e il conforto di cui si ha bisogno.

La bambina in scena è immersa nella potenza della propria protezione, trasformandosi continuamente in bestie terribili e, ogni tanto, in immagini celestiali.

PHILIPP GEHMACHER   

My shapes, your words, their grey (28.07) Sin dalla sua prima messa in scena nel 2013, l’opera –una performance e una mostra- è stata presentata in scatole nere teatrali, studi d’artista, cubi bianchi dei musei di arte moderna e contemporanea così come gallerie civiche. Ogni iterazione nei diversi spazi fa sì che l’opera incorpori scoperte e sviluppi producendo nuovi oggetti e pensieri che alimentano il lavoro di volta in volta. La performance di Gehmacher da un lato tratta le questioni di leggibilità e intangibilità delle opere d’arte mentre dall’altro mette in discussione il contesto istituzionale della loro presentazione così come la loro realtà materiale. Una realtà che potrebbe essere descritta come viva, performativa e oggettuale per il corpo di Gehmacher, nonché performativa anche per gli oggetti e le opere presenti nell’exhibit. Il concetto di grey room, parallelo al black box e alla white cube, appare come un spazio indefinito: grey life e grey moviment come idee di spazi e identità “in transazione”, non riducibili alla consolidata dicotomia di “bianco / nero”. Dopo essere stato a Supercontinent (2017), il coreografo austriaco torna a Central Fies con una nuova iterazione della performance My shapes, your words, their grey.

SARAH VANHEE   

Unforetold (28.07) La giovane regista Sarah Vanhee porta in scena un’opera sulla “costruzione del buio” che ruota attorno a una domanda: di cosa è fatta l’oscurità? La pièce creata in collaborazione con il centro d’arte CAMPO, innovativo e importante centro di produzione belga, mette in scena sette bambini, sette piccoli esseri silenziosi, “sensibili a ciò che non è stato predetto”. Creature brave e capaci nel fare domande così come a evocare altre realtà, pur ricevendo risposte in lingue sconosciute. Possono celarsi alla vista in un luogo scintillante e luminoso così come farsi trovare nell’oscurità, dove sono nascosti e al sicuro. Sarah Vanhee, artista APAP, la rete Europea di arti performative di cui Centrale Fies fa parte dal 2014, crea assieme ai bambini un luogo, un mondo, un ecosistema senza tempo, in una atmosfera fatta di domande, viene creata una nuova logica con l’aiuto di conversazioni verbali e non, non ancora completamente disconnessa dal magico, una logica non organizzata, non strategica, ma straordinaria, complicata e imminente.

MARIA HASSABI

staging: solo (21.07) È un estratto dell’installazione live STAGING (2017) di Maria Hassabi, presentata al Walker Art Center, Minneapolis e a documenta 14, Kassel. STAGING: solo presenta una successione di incontri, installati nelle molteplici stanze di un palazzo. Concepito in più parti, l’accumularsi di corpi, colori, suoni, luci e architettura funge da promemoria di un evento frammentato in continuo divenire, che trova la sua conclusione solo quando è messo in scena nella sua forma teatrale. In questa versione per Centrale Fies STAGING: solo,  vede tre performer muoversi a un ritmo moderato, trasformando i loro corpi a velocità lentissime, talvolta impercettibili, presentando un ciclo coreografico di due ore.

LINA LAPELYTE

Candy Shop – the Circus (22.07) Candy Shop – the Circus prende il titolo da una famosa hit rap dei 50 Cent, un rapper, imprenditore e produttore statunitense. La performance rievoca i giochi di potere tipici delle canzoni rap narrando storie di glamour, gender e mondanità. Candy Shop –the Circus è un opera per sette performer femminili, coristi, batteriste, una banda di paese mischiata a testi hip-hop, elettronica e video che invitano ad una meditazione collettiva sui sistemi gerarchici.

MARIO MIELI (22.07)

L’idea nasce dal ritrovamento fortuito di una performance fotografica inedita in 72 pose, realizzata da Mario Mieli probabilmente a Roma alla fine degli anni Settanta. Un’installazione multimediale con le immagini proiettate vedono Mario Mieli guest artist in una delle serate di LIVE WORKS Vol.6. Il servizio mette in luce il temperamento queer ante litteram che a modo suo segna molte differenze da quanto avveniva nei primi anni Settanta. Nella parte antistante l’installazione troviamo gli scritti autografi di Mieli e del materiale epistolare inviato a Franco Buffoni risalente agli anni 1970-1981. Mario Mieli nasce nel 1952 a Milano. Nei primi anni 70 vive a Londra dove entra in contatto con i principali esponenti del movimento gay inglese. Nel 1971 in Italia è fra i fondatori del Fuori, dal quale esce nel 1974 quando l’associazione si federa al partito radicale. Nel 1977 Einaudi pubblica la sua tesi di laurea in filosofia morale Elementi di critica omosessuale che, tradotta in inglese nel 1980, diventa uno dei testi fondamentali degli studi queer. Muore suicida nel 1983 a Milano. Franco Buffoni, amico di Mario Mieli sia a Milano sia a Londra, ha condiviso con lui l’esordio in poesia nello stesso collettivo milanese, nonché la nascita a Londra del Gay Liberation Front.

Giada Ruoppo

 

 

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