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Roberta Albano vince il Premio Eccellenze della Danza: “una grande soddisfazione che mi spinge a continuare a studiare”

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Che Roberta Albano, docente di danza classica, critica e studiosa di storia della danza, abbia vinto, insieme al giornalista Massimiliano Craus, il Premio Giornalismo e Diffusione del Settore Danza del Premio delle Eccellenze della Danza 2018, è una bellissima notizia. Non solo perché è il riconoscimento di un lavoro appassionato, svolto con onestà e competenza per tutta una vita. Ma anche perché Roberta Albano ha compiuto in questi anni una ricerca storica, in particolare sul San Carlo di Napoli, con l’obiettivo di portare alla luce e valorizzare un patrimonio spesso sottovalutato se non dimenticato, non solo della città di Napoli, ma di tutto il Sud. Ed è per questo suo impegno, oltre che per il suo costante contributo come critica di danza, che riceverà il premio. L’evento, l’importante manifestazione coreutica ideata da Vincenzo Macario e Antonio Desiderio, che ne cura la direzione artistica, è alla sua seconda edizione e avrà luogo domenica 18 Novembre nel Teatro Metropolitan di Catania.

Con questo premio il tuo lavoro  ha avuto un bel riconoscimento.  Ce ne puoi parlare?

Negli ultimi anni, insieme ad altre persone, ho portato avanti delle ricerche sulla danza a Napoli dal ‘700 in poi, e nel tricentenario della nascita di Carlo di Borbone, in un convegno all’ Università L’ Orientale, ho potuto esporre i risultati di questi studi. Avevo notato che anche nei manuali spesso c’erano inesattezze e comunque non si rendeva giustizia alla ricchezza di produzione del San Carlo nei primi anni dalla sua fondazione, in particolare dal 1737 al 1747, dal primo coreografo  all’arrivo di coreografi francesi che portarono lo stile francese, quello preferito dal re.  Se si pensa che nella seconda metà del ‘700 Noverre e Angiolini si contendono la titolarità di riformatori del balletto e che alcuni coreografi che avevano lavorato a Napoli si ritrovano poi a Vienna con il maestro di Angiolini e poi con Angiolini stesso, si comprende che Napoli era un fulcro di cultura, non solo per la musica ma anche per la danza. Inoltre, grazie all’associazione “Airdanza” ho avuto la possibilità, con il convegno dell’anno scorso, nel novembre 2017, di valorizzare un altro periodo della danza a Napoli: i primi dell’ ‘800. In quegli anni molti giovani coreografi francesi vennero a Napoli perché non trovavano spazio a Parigi, in quanto Pierre Gardel non lasciava molte opportunità ad altri. Sotto la guida di Domenico  Barbaja il San Carlo divenne la prima scuola nonché centro di attività coreutica in Italia. Ho svolto queste ricerche insieme alla professoressa  Maria Venuso, docente di storia della danza  al Suor Orsola  Benincasa, negli Archivi di Stato e negli Archivi del Conservatorio.

Qual è, secondo te, la situazione della danza oggi, è sempre la cenerentola del mondo dello spettacolo? E come promuoverla?

Il discorso è complesso. La Campania ha moltissime attività private, soprattutto come scuole, invece tutto questo potenziale nel pubblico è meno visibile, non si traduce in altrettanti spettacoli. Inoltre il pubblico della danza è variegato. C’è un pubblico che va al San Carlo, dove per fare il tutto esaurito  ci vuole sempre un grosso nome, e un pubblico, meno numeroso ma molto motivato, che va alle rassegne di danza contemporanea. In Italia, purtroppo lo sappiamo, c’è sempre l’esigenza di ridurre le spese, per cui si punta su due grandi compagnie, che ricevono il grosso dell’appoggio. Ciononostante Napoli e Palermo, grazie ai soprintendenti, stanno dando vita a nuove generazioni di ballerini, bravi e preparati. Queste compagnie, però, sono sempre soggette a tagli e vivono in una situazione di precarietà, nel senso che non si riesce a fare tutto quello che si vorrebbe e per cui si lavora. Io credo che sulla programmazione ci sia una mancanza di coordinamento: tutti gli operatori si chiudono nelle proprie attività, invece bisognerebbe fare corpo, perché solo un grande gruppo, numeroso, può cercare di difendere le proprie posizioni. I teatri sono spinti a programmare la danza, da cui la fioritura di produzioni di danza contemporanea, però spesso, per ragioni finanziarie, si tratta di assoli o piccole compagnie. In Toscana, in Piemonte, in Veneto abbiamo teatri che non hanno più un sostegno anche per la danza, e questo è un grande impoverimento. Credo che un movimento sia completo quando segue un modello a piramide: una base piena di iniziative e da questa, mano a mano, si arriva alle punte di diamante. Che siano rimaste solo quattro compagnie in quattro regioni dà l’idea di una piramide tronca.

E poi per la promozione un ruolo fondamentale lo svolge la critica. Si tratta di un mondo relativamente giovane, se si pensa che  critici di danza non ce n’erano fino agli anni 40, 50. C’erano i musicologi che si aprivano anche agli spettacoli di danza. Poi, con la nascita dell’Enciclopedia dello Spettacolo, è stato riconosciuto un ruolo autonomo alla danza ed è nata una generazione di critici come Alberto Testa, Vittoria Ottolenghi eccetera. Però, ancora nel 1980, al DAMS di Bologna non c’era un insegnamento di storia della danza, era all’interno della cattedra di semiologia dello spettacolo. Quindi è una cultura che ha pochi anni sia a livello critico giornalistico che accademico, mentre è l’anello fondamentale per avvicinare il pubblico a questa arte.

Inserire la storia della danza nelle materie scolastiche potrebbe essere un passo avanti?

Certamente, ma già nel liceo coreutico, che non è professionalizzante in quanto ci sono poche ore di tecnica della danza, le due ore di storia della danza non giustificano l’assunzione di docenti ad hoc, quindi la insegnano gli insegnanti di tecnica per ragioni economiche. E ci sono ragazzi che si sono dottorati e non possono insegnare al liceo coreutico.

L’ultima domanda: cosa è per te la danza?

La compagna di tutta la mia vita. Ho cominciato a studiare da piccola e non mi ha più abbandonata. Forse l’emozione più grande, che mi ha fulminato da piccola, è stata vedere Rudolf Nureyev. E poi in televisione c’era  Maratona d’estate di Vittoria Ottolenghi. Ora in televisione a parte i talent, di dubbio valore educativo, non ci sono spettacoli. Anche se in rete ci sarebbe la possibilità di vedere di tutto. Ma Maratona d’estate aveva il merito di dare una lettura di quello che si vedeva.

Progetti per i futuro?

Ritornare in archivio a studiare, naturalmente. C’è un progetto editoriale sul novecento ma per ora continuo ad approfondire il settecento e ottocento. E poi sto organizzando, in qualità di direttrice artistica, insieme a Mariana Gargiulo di Spazio Danza Sorrento, la quarta edizione de la Festa della Danza di Sorrento che avrà luogo il 29 aprile 2019.

Voglio esprimere la mia gratitudine all’Associazione Airdanza, per l’opportunità di ricerca e divulgazione, con la presidente Francesca Falcone, la presidente uscente Patrizia Veroli, al  musicologo Giovanni Paolo Maione e Rosa Cafiero, Maria Venuso. Ringrazio naturalmente Antonio Desiderio e devo dire che è bello che questo premio venga dato a Catania, perché c’è anche tra i miei scopi la valorizzazione del patrimonio coreutico del sud.

Poi voglio ringraziare Campadidanza, che fa un lavoro di promozione e sensibilizzazione della cultura della danza e ringrazio Raffaella Tramontano e Gabriella Stazio per l’opportunità di dare voce alla mia passione per la danza.

Mara Fortuna

 

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