ROMA – Da pochi giorni, edito da A&B, è uscito in libreria Il fulmine danzante, libro scritto dal danzatore, coreografo, maestro Joseph Fontano. Si tratta della biografia di un artista che nella sua gioventù, vissuta tra Stati Uniti e Italia, ha condiviso anni ormai considerati mitici per lo sviluppo delle neoavanguardie e della danza contemporanea.

Un ricostruzione della danza degli anni Sessanta e Settanta

Il libro parla degli anni Sessanta e Settanta e del periodo ricchissimo per la danza americana che ha visto l’affermarsi della danza postmoderna che operava una critica e una revisione della fertile eredità della modern dance, sviluppatasi nella prima metà del Novecento. Inoltre Fontano, per molti anni insieme ad Elsa Piperno, ha esportato in Italia queste nuove spinte culturali e artistiche dando vita a numerose generazioni di danzatori, docenti coreografi e studiosi. Sono così nati la Compagnia Teatrodanza Contemporanea e il Centro Professionale di Danza Contemporanea a Roma, per decenni un punto di riferimento per la danza nella capitale. Fontano ha insegnato danza moderna alla Scuola di Ballo del Teatro di San Carlo ed è stato docente di Tecnica e Metodologia della danza contemporanea all’Accademia Nazionale di Danza di Roma.

La bella prefazione del libro è scritta da Leonetta Bentivoglio, decana dei critici di danza italiani, che confessa di aver avvicinato e amato la danza, così come Donatella Bertozzi e tanti altri, grazie al magistero umano e artistico di Joseph Fontano ed Elsa Piperno nella mitica scuola di via del Gesù a Roma.

Maestro Fontano cosa l’ha spinta a scrivere un libro?

“È un progetto che inizia circa 10 anni fa, e mi chiedevo se scrivere un testo di tecnica o di metodologia, poi, durante il lockdown per la pandemia, ho sentito il bisogno di parlare di me e dei magnifici incontri che ho avuto la fortuna di fare nella vita. Ma forse nasce anche prima.  Quando mi chiesero un assolo per i miei 60 anni, Adesso Mi al teatro Parente di Milano, con un pubblico importante, feci una performance di 6 minuti e dietro c’era un film con tanti brani, tra cui il video di Solitudine, che è stato il mio cavallo di battaglia. Forse allora ho capito che c’era bisogno di ricostruire la mia carriera mettendo insieme i tanti pezzi che l’hanno composta. Carriera fondata anche su una discreta potenza performativa che, nonostante gli anni, ancora compare quando insegno. Il libro non è scritto in modo cronologico, ma è raccontato come un romanzo, l’ho scritto con la collaborazione di Marialuisa Monna che ha supportato in maniera documentata le mie parole”.

Nel libro racconta anche di suo padre, un militare violento

“Si. Nasco in una famiglia del Bronx, da un padre militare, violento, lontano da qualunque visione artistica.  Già a sei anni ero da solo in metropolitana per andare a scuola e non erano certamente periodi tranquilli a New York. Erano periodi di lotte razziali molto dure tra neri, italoamericani, hispanos. Mi chiudevo in un mondo artistico che mi isolava dal mondo violento e dalla famiglia, con un padre che picchiava noi figli e mia madre, e ho scoperto quindi l’esigenza di parlare anche delle mie sofferenze personali. Mi sono fatto da solo, non ho avuto alcun sostegno dalla mia famiglia, se non la spinta ad uscirne al più presto. Ho poi scoperto che l’uomo che mi ha cresciuto non era mio padre biologico ed anche questa verità non l’avevo praticamente mai confessata prima, se non a pochissimi amici fedeli”.  

“Una persona anonima mi ha lasciato, quando ero ragazzo, una borsa di studio alla mia scuola per aiutarmi ad andare alla School of Visual Art di New York che era appena diventata università. Cercavo una scuola di teatro ma tutte quelle che trovavo erano buie, introspettive, e scoprii un ambiente dinamico e vivace dove erano passati personaggi come Allan Kaprow, John Cage, Merce Cunningham, Yvonne Rainer, Trisha Brown. Ho poi incontrato Paul Sanasardo, che mi ha invitato ad andare alla sua scuola sulla 21ma strada, e lì fui subito colpito dal suo approccio al lavoro sul corpo. È un artista dalla fortissima personalità, anche Pina Bausch era stata a studiare con lui nel suo soggiorno a New York”.

Che cosa l’ha spinta a venire in Italia?

“Volevo venire in Europa per ritrovare le mie radici italiane. Nel 1971 Pina Bausch era tornata per un lavoro con la compagnia di Sanasardo a New York, e lì la conobbi. Già sentivo un po’ stretta la compagnia di Sanasardo, in cui ormai ero entrato, e sentivo anche di voler fare altro. Lei mi parlò dell’intenzione di creare un suo gruppo in Germania e mi suggerì di raggiungerla. Secondo me il suo lavoro ha preso molto dalla postmodern dance e dal lavoro sull’improvvisazione che si faceva anche da Sanasardo. Le ho sempre chiesto come mai non parlasse di Sanasardo ma non ha mai risposto. Lo fece finalmente quando venne all’ Accademia Nazionale di Danza a Roma, negli anni Novanta, e fu nominata Presidente dell’istituzione per cui ho lavorato per molti anni”.

Bird era un assolo che Jean Cébron aveva fatto per lei nel 1971 e mi colpì molto, quindi pensai di lasciare la compagnia e andare in Europa e una mia amica mi regalò un’auto che avrei dovuto ritirare a Roma per poi andare in Germania. Ma nel CID, il centro allora punto di riferimento della danza moderna in Italia,  incontrai Elsa Piperno e tanti altri (Bob Curtis, Patrizia Cerroni, Nicoletta Giavotto, Macha Plevin) e dopo un po’ ci venne l’idea di mettere su uno spettacolo da cui poi è nato la compagnia Teatrodanza Contemporanea. Ero alla ricerca delle mie radici italiane: i nonni materni erano di Atripalda in Irpinia ed emigrarono all’inizio del secolo in America, mi piaceva l’idea di restare in Italia. Inoltre da bambino disegnavo e dipingevo, perciò mi sentivo felice di vivere in un paese pieno d’arte”.

La scelta della danza contemporanea è stata casuale?

“La danza è un’arte irripetibile e quindi per questo è luogo di ricerca continua, ricerca che caratterizza il mio modo di essere. In America mi hanno sempre chiesto di passare alla danza classica, per le mie doti fisiche, ed ho anche studiato balletto, ma non mi sarei mai sentito un principe Albrecht. Nella danza classica c’è un modello esterno da riprodurre, nella danza contemporanea sei tu stesso maggiormente il protagonista della creazione. Anche se c’è un coreografo, il danzatore è un creatore, al di là di una drammaturgia o di un personaggio, perché riproduce un movimento o un passo in maniera personale, con il suo corpo: significa essere danza in quel momento. Questo è il tema della danza del secondo Novecento: io non faccio il ballerino, io sono il ballerino. Certamente le mie doti fisiche mi hanno aiutato ed io ho sfruttato questo fisico per lavorare sul contemporaneo. Inoltre Sanasardo era un astrattista per eccellenza. Anche l’insegnamento è un mezzo per esprimere e creare, perché la danza è un modo per costruire la propria vita in quanto è intrinseca in noi. La danza ti macina e spesso ti mette di fronte a te stesso per cui piangi, ridi, e non esci mai fuori dalla danza”.

Nel libro Joseph Fontano si mette in gioco a tutto tondo…

“Si il libro procede a tappe della mia vita e si intreccia con gli incontri professionali da danzatore e coreografo, con gli anni di insegnamento e con lo sviluppo della mia persona per intero. Fare coming out nella mia famiglia non fu facile (con padre militare e fratello marines) eppure io ho vissuto la mia sessualità in modo estremamente naturale, e spero che parlare di questo nel mio libro, possa ancora aiutare qualcuno che vive delle difficoltà in questo senso”.

Raccontando tutti i suoi incontri si scrive una piccola storia della danza

“Vittoria Ottolenghi diceva che mi sono sempre trovato al posto giusto al momento giusto. Si ho incontrato tra gli altri Anna Sokolow, a Londra Valery Preston-Dunlop, Marion North al Trinity Laban Center (che mi chiese di dirigere la compagnia), con loro abbiamo lavorato per riportare le teorie e l’esperienza di Rudolf Laban nella contemporaneità. E poi William Como, caporedattore di Dance Magazine, e tanti altri. Invito a leggere il libro anche per ricostruire l’intensa attività della danza di quegli anni. Si può leggere della grande Martha Graham che mi aveva notato attraverso un errore…Sono contento di aver scritto questo libro che fissa e sigilla momenti importanti. Prima di Pasqua ho presentato il libro a Porto Marghera e, pur non essendo abituato a parlare in pubblico, ho scoperto di aver interessato tantissime persone”.

Cosa si aspetta ancora dalla danza?

“La danza per me è continua ricerca e innovazione e la trovo dentro di me e anche al di fuori di me, dipende da come guardi le cose. Continuerò a fare danza e ricerca. L’esigenza di etichettare la danza mi è estranea, non so se faccio modern, contemporaneo, faccio la danza che riflette me stesso e il libro racconta questo a chi oggi voglia avvicinarsi alla danza. Nulla arriva per caso ma attraverso il lavoro. Le persone che ho incontrato mi hanno lasciato in custodia tante cose: il libro è un momento per archiviare, conservare tutte le mie esperienze. Leonetta Bentivoglio mi ha commosso nella sua presentazione in cui attribuisce all’ importanza dello studio con me ed Elsa il merito di aver scoperto il mondo della danza. Mi ha rivelato e risvegliato qualche cosa che avevo forse dimenticato e che era doveroso conservare e trasmettere anche alle giovani generazioni”.

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