NAPOLI – I Maestri del XX secolo è il titolo della serata di balletto andata in scena al Teatro di San Carlo dal 5 al 10 marzo scorso. I titoli presentati, Concerto di Kenneth MacMillan e Theme and Variations di George Balanchine, sono opere emblematiche del genere definito per alcuni periodi come balletto astratto ma meglio individuato con il termine concertante. Si tratta infatti di due coreografie senza trama che pongono in primo piano il rapporto tra danza e musica, lontane dunque dalla letterarietà che ha ispirato i libretti dei balli ottocenteschi. Sono entrambe creazioni realizzate su brani musicali già precedentemente composti che i coreografi hanno interpretato secondo il proprio stile coreografico.

Buona prova della compagnia di ballo del Teatro di San Carlo

È un segno positivo che la direttrice della compagnia di ballo del Teatro di San Carlo, Clotilde Vayer, abbia voluto proporre ai suoi danzatori due cavalli di battaglia del balletto neoclassico che richiedono tecnica, preparazione fisica e ottima presenza scenica. Non ci sono personaggi da interpretare per i protagonisti, ma una danza pura, lineare, dinamica e quindi per questo ancora più eloquente. I danzatori della compagnia napoletana si sono mostrati in grado di affrontare una prova così ardua e con la loro fisicità e energia hanno dato una dimostrazione più che discreta del loro valore.

Spettacolo che andava promosso adeguatamente

Peccato che la promozione del Teatro non abbia saputo valorizzare l’eccezionalità della programmazione che meritava una visibilità diversa ed anche una presentazione adeguata per un pubblico, come quello dei teatri d’opera italiani, abituato troppo spesso al balletto narrativo. Non è infatti una caratteristica solo napoletana quella di accogliere con meno entusiasmo le serate con una programmazione lontana dal repertorio romantico.

Theme and Variations  e la riconfigurazione dei codici del balletto classico

Theme and Varioations   sulla Suite per Orchestra n. 3 in sol maggiore op. 55 di Pëtr Il’ič Čajkovskij è stato creato da George Balanchine nel 1947 per il Ballet Theatre con una straordinaria Alicia Alonso, all’inizio della sua fulgida carriera, e Igor Youskevitch come protagonisti. In quegli anni Balanchine era alla guida della Ballet Society e lavorava anche per altre compagnie: il Ballet Theatre diventerà presto l’American Ballet Theatre. Il successo della programmazione balanchiniana porterà la Ballet Society ad essere ospitata al City Center of Music and Drama nel 1948 con il nome di New York City Ballet. Pur non creato quindi per la sua compagnia, Theme and Variations è diventato un cavallo di battaglia di Balanchine e un’opera che testimonia il rispetto del coreografo per la tradizione del balletto classico e del repertorio di Marius Petipa che con Pëtr Il’ič Čajkovskij e con il suo collaboratore, Lev Ivanov, aveva creato i tre grandi capolavori di fine Ottocento: Il Lago dei cigni, Bella Addormentata e Schiaccianoci.

Essenzialità delle forme e tecnica accademica più fluida

Le riforme artistiche dei primi decenni del Novecento avevano messo in discussione i codici tradizionali del balletto a serata intera che si fondava su un libretto d’ispirazione letteraria ma che si stava irrigidendo in una ripetitività eccessiva di schemi strutturali, con l’utilizzo di una pantomima inaridita e superata dalle nuove tecniche attoriali teatrali e cinematografiche. Balanchine apprende dai suoi maestri, Aleksandr Gorskij, Mikhail Fokin, Kasyan Gleyzonzkij e  Fyodor Lopukhov, che la danza ha valore di per sé stessa e può anche fare a meno di un supporto narrativo e psicologico nella costruzione dei personaggi. Si abolisce la pantomima, il corpo è espressivo nella sua totalità, si eliminano aspetti decorativi delle scene e dei costumi e si punta all’essenzialità delle forme e della tecnica accademica resa più fluida.

La danza, “reinterpretando” la partitura musicale, vive e si realizza in sé stessa alla ricerca di dinamiche di movimento che guardano al repertorio del passato ma si proiettano nel futuro verso un’arte concettuale in cui la bellezza dei corpi in scena, l’infinità varietà dei virtuosismi e la personalità dei danzatori sono sufficienti per creare un’empatia con il pubblico.

La Suite di Čajkovskij gioca con gli strumenti, per esempio flauti e clarinetti, che riprendono il tema del primo movimento, così come Balanchine gioca con i solisti ed il corpo di ballo, inizialmente dodici ballerine, che interagiscono tra loro. La coreografia è un alternarsi di assoli e ensemble che mettono in evidenza il virtuosismo e la bellezza dei protagonisti. Anna Chiara Amirante, interprete nelle serate in alternanza con Claudia D’Antonio, è stata all’altezza delle aspettative e ha danzato con serenità e in maniera brillante il balletto in coppia con Luis David Valle Ponce, ballerino cubano dalla grande potenza tecnica, perfettamente a suo agio nel ruolo. Erede e sviluppo dei primi sperimentali balletti sinfonici dei già citati maestri, Balanchine in questo balletto esprime al meglio il suo ideale neoclassico con il recupero delle strutture formali, passi a due, momenti corali, terzetti, quartetti, del balletto ottocentesco, inserite in un rapporto strettissimo con la partitura musicale. Anche la scelta dei costumi, i bei tutù di Giusi Giustino, rievocano il balletto ottocentesco.

La polonaise finale, che come nei Grand Pas ottocenteschi segue il pas de deux, è entusiasmante sia nella grandiosità dell’orchestrazione sia nella semplice genialità con cui Balanchine ripropone coreograficamente l’entrata in scena delle coppie che richiamano alla memoria il gand ballet final degli spettacoli barocchi, il ballet de cour, da cui discende il balletto europeo.

Il Concerto di MacMillan e una splendida Ieluzzi

Kenneth MacMillan è uno coreografo di una generazione successiva rispetto a quella di Balanchine e ne riprende la dinamicità delle combinazioni coreografiche portandole ad una fluidità di movimento che anticipa il balletto contemporaneo. In genere è stato un coreografo, erede della scuola britannica fondata da Ninette De Valois, che ha amato il balletto a tema per raccontare storie dalle sfumature drammatiche, crude, tragiche, superando il sereno mondo fiabesco prediletto dal suo maestro Frederick Ashton. Ha piegato la tecnica accademica ad argomenti contemporanei come lo stupro (Invitation, 1960), la follia e la guerra in (Anastasia, 1971), il desiderio e la morte (Manon, 1974). Nel prossimo maggio la compagnia napoletana presenterà la sua versione di Romeo e Giulietta (1965), su musiche di Sergej Prokof’ev, forse la versione più completa e drammatica della tragedia shakespeariana in danza. Nel caso di Concerto, creato nel 1966, invece MacMillan si mise alla prova in una coreografia di puro movimento in cui i solisti si muovono in netta contrapposizione con gli scambi sincroni del corpo di ballo.

Il Concerto n.2 per pianoforte e Orchestra di Dmitrij Šostakóvič, in cui lo strumento solista si alterna in cambi improvvisi da piano a forte con l’orchestra, suggerisce continue alternanze tra masse geometriche del corpo di ballo, quasi piccoli plotoni coreografici, e danzatori singoli o in coppia. Nel primo movimento si è apprezzata la coppia composta da una vivace Giorgia Pasini e un impeccabile Salvatore Manzo, veramente ben assortiti. Nel secondo movimento il pas de deux, che inizia con una dolce melodia, è stato interpretato con un lirismo emozionante da Luisa Ieluzzi, in coppia con Stanislao Capissi, sempre più matura e sicura nella sua danza che dimostra la notevole crescita artistica e professionale vissuta negli ultimi anni.

Coreografia solo apparentemente semplice

I lift, i fuori peso, gli equilibri e le prese dinamiche, tipiche dei pas de deux per cui MacMillan è diventato celebre, sono stati eseguiti con grande sicurezza ed efficacia. Meno all’altezza del ruolo la protagonista del terzo movimento, Annalina Nuzzo, un po’ a disagio nella replica del pomeriggio del 5 marzo. Il corpo di ballo, tranne in qualche perdonabile momento, ha superato con buona qualità la prova di insieme richiesta da una coreografia solo apparentemente semplice ma ricca di passaggi impegnativi. Al pianoforte Sepp Grotenhuis e alla guida dell’orchestra il giovane Maestro Hilari Garcìa. Il pubblico, pur non numerosissimo, e, per fortuna, con una prevalenza di giovani, ha molto apprezzato la serata che dimostra la validità della programmazione artistica della signora Vayer che speriamo, in futuro, sia sostenuta con più entusiasmo dalla promozione del Teatro.

Iscriviti alla Newsletter