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“Diptych”: elegia contemporanea sulla difficoltà delle relazioni umane

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Dal 17 al 19 dicembre, in scena al Teatro Bellini di Napoli, lo spettacolo Diptych di Peeping Tom: un'opera unica, prima volta a Napoli.
Dal 17 al 19 dicembre, in scena al Teatro Bellini di Napoli, lo spettacolo Diptych di Peeping Tom: un'opera unica, prima volta a Napoli.

NAPOLI – In scena al Teatro Bellini “Diptych” della compagnia belga Peeping Tom, una delle compagnie di teatro danza più incisive della scena internazionale (https://www.peepingtom.be/en/home/#r) . Gran bel colpo per la rassegna di danza diretta da Emma Cianchi e Manuela Barbato, mai prima d’ora, infatti, i Peeping Tom si erano visti a Napoli.

Lo spettacolo nasce dalla rielaborazione di pezzi cult del passato. I due lavori nascono originariamente per il Nederlands Dans Theater I: nel 2013 l’argentina Gabriela Carrizo firma per la compagnia olandese The Missing Door (La porta mancante), nel 2015 tocca al francese Frank Chartier con The Lost Room (La stanza perduta). Lo spettacolo si apre con un uomo accasciato su un tavolino nella parte destra del palcoscenico, a terra una donna riversa in un lago di sangue che verrà trascinata via, un uomo lava il pavimento, mentre una cameriera spolvera una grande poltrona.

Pubblico incollato alla poltrona per tutto lo spettacolo

Una scenografia da cinema, una danza travolgente e avvolgente, un’opera ricca di significati impliciti e iconici sulla caducità delle relazioni umane. “Diptych” di Peeping Tom è questo e tanto altro. Un’opera costruita su uno spazio osservativo, relazionale e d’azione, che fa da ‘metronomo’ ad un tempo sospeso, labirintico e retrospettivo. Uno spettacolo di circa 55 minuti che immobilizza il pubblico alla poltrona, lo ancora alle emozioni, lo stupisce, lo stordisce, lo disorienta, lo logora, lo terrorizza. Già terrore, perché l’opera potrebbe collocarsi, in termini ‘nerd’, tra il fantasy e l’horror, con chiari rimandi magici e macabri che ricordano film o giochi agli amanti del genere. Un thriller.

“Dittico” composto da The Missing Door e The Lost Room

Gli interpreti sono uomini e donne normali, ciò che sembra non esserlo è la proiezione dei loro drammi emotivi sull’ambiente nel quale essi agiscono, che diviene specchio dei traumi che evidentemente li accompagnano.

Incubi spazio-temporali, distorsioni della realtà, sconfinamenti tra reale e irreale divengono il riflesso della mente umana, aggrovigliata, psichedelica e oscura. Prima si rivelano nel chiuso di una stanza con molteplici porte, spazi immensi e angusti, luci fioche e macabre, poi si amplificano nella cabina di una nave che salpa i mari dell’animo umano, attraversando tempeste, tempi freddi e gelidi, momenti intimi, scelte. Nel mezzo, un cambio scena ‘a cielo aperto’ nell’ipnosi generale che da The Missing Door porta a The Lost Room.

Un’elegia contemporanea, una poesia intima

Può sembrare azzardato paragonare “Diptych” ad un’elegia, eppure allo spettatore quest’opera arriva come una poesia intima, soggettiva, totalmente indifferente ad una trasposizione ‘politicamente corretta’ delle relazioni umane. Inoltre, tutto ha un tono fermo, alto e severo che apre a spazi interpretativi e riflessivi quasi sempre in un ‘fuori-realtà’ che risulta essere una lente onesta sulle emozioni, sull’amore, sulle relazioni.

“Diptych” è dunque un’elegia contemporanea perché propone ‘eroismi relazionali’ scevri da letture semplicistiche e coinvolte. Esprime le insicurezze e le paure che si annidano nei buchi più neri e improbabili delle stanze della nostra mente, ma le affronta con dinamismo, con passione e vitalità, non si sottrae ma si erge epicamente a modello. 

L’amore è uno dei temi paradossalmente protagonisti dell’opera: è nella cura oscura del sangue da pulire, nelle finestre da chiudere, nel gettarsi dal pontile della nave, nell’affrontare i mostri nell’armadio e in ogni più sottile interazione. Diptych ne esprime la sofferenza, l’angoscia, il senso di evasione dalla realtà, il timore del quotidiano, l’abitudine dell’umano. In tal senso, risulta vincente il tono gotico, meditativo e malinconico: l’opera risulta essere un compianto corale, che brutalmente si fa specchio della desolazione emotiva del nostro tempo offrendo, tuttavia, la possibilità di chiudere e aprire porte, di scegliere di agire, almeno di provarci.

In scena Konan Dayot, Fons Dhossche, Lauren Langlois, Panos Malactos, Alejandro Moya, Fanny Sage, Eliana Stragapede, Wan-Lun Yu. Tutti bravissimi.

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Danzatore, docente di danza e chinesiologo. Opera come performer e giovane autore in Borderline Danza di Claudio Malangone e collabora come danza-educatore con enti e associazioni. Attivo nel campo della ricerca pedagogico-didattica, porta avanti un'indagine sui vantaggi della danza come dispositivo di adattamento cognitivo e sociale.