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Al Teatro Stabile di Innovazione, Galleria Toledo, di Napoli è approdato il lavoro di Marco Chenevier, danzatore e coreografo del TIDA (teatro instabile d’Aosta). Marco è un giovane artista, simpatico, ironico, che vuole portare innovazione contenutistica, stilista e qualitativa sulla scena della danza contemporanea attuale, mischiando drammaturgia al movimento ed alla performance, sperimentando che arte significa mettere in scena la realtà della vita, delle emozioni che si vivono tutti i giorni in un mondo dinamico ed a volte pesante.

Purtroppo il pubblico napoletano non riesce ancora ad essere curioso delle nuove proposte e finisce per affollare solo i soliti spettacoli dei “grandi nomi” e quindi, a vedere Quintetto di Chenevier eravamo in pochi ma l’artista è riuscito a creare una situazione di profonda intimità, di voglia di conoscenza e di relazione, seppur molti spettatori si conoscessero già.

Marco, vestito con una tuta, umilmente, si presenta sul palco e comincia a parlare ringraziando il teatro per averlo ospitato. Tornato dietro le quinte per prepararsi all’inizio dello spettacolo, riappare subito sul palco, sempre in tuta, con una borsa gialla che poggia a terra.

Racconta, allora, che il resto dei danzatori non è potuto venire a causa del taglio dell’80% sulle retribuzioni tersicoree e che, dunque, lo spettacolo necessita di tecnico del suono, delle luci e degli altri interpreti, mentre lui eseguirà le sue parti con il suo costume di scena che ha nella borsa.

Lo spettacolo, rivela Marco, è una sperimentazione sulla ricerca scientifica ed il teatro, esplorando la figura di Rita Levi Montalcini, interpretata dallo stesso Marco.

Marco parla con ironia, un po’ di amarezza, ma forte concentrazione e presenza: è già in performance, già danza.

Una volta stabilito il cast, spiega la scaletta dello spettacolo, mentre intanto si trasforma nella Montalcini. Esce dalla quinta a passo lento, simulando l’andamento di una vecchia signora e qui non parla più ma è come se parlasse. Si avvicina lento al centro del palcoscenico e recita il monologo finale del film “Blade Runner” (“Ho visto cose che voi umani…”)

Sembra subito crearsi un’atmosfera di magia: tutti eseguono i loro compiti in maniera impeccabile e la danza di Marco è fluida, morbida, ricercata, sperimenta delicatamente il supporto del pavimento e diventa autentica e sentita, emotiva e spirituale.

Egli sperimenta, allora, il forte legame tra drammaturgia e performing art, dove il gesto e la danza non sono affatto penalizzati, ma anzi rivivono di autenticità, chiarezza e spontaneità.

La danza di Marco attraversa i livelli e gli stati fisici ed il movimento univoco del corpo si genera a partire da un singolo impulso, il respiro è continuo e morbido. Il corpo è, dunque, “disponibile”, come lui stesso ha definito nella descrizione del workshop che sta tenendo in questi giorni presso il centro Körper, disponibile ad accogliere e l’anima danza anch’essa nelle ossa e nelle articolazioni.

Ecco che un accadimento che simboleggia la forte crisi attuale nel mondo dello spettacolo diventa spunto drammaturgico per costruire uno spettacolo insieme al pubblico che si scopre performer.

Questo và aldilà del teatro, è un motore innovativo che crea arte a partire dalle mozioni intime, dai sentimenti ed è la riscoperta originaria dell’esigenza del danzatore e del coreografo.

Marco lavora, così, sulla rottura delle classiche drammaturgie della danza contemporanea e vuole andare su un canale completamente altro rispetto a quelli che sono i due filoni attuali della scena coreografica, quello troppo “intellettualista”, dove la danza viene penalizzata e quello neo-classico in cui i movimenti sembrano essere solo sfoggio di virtuosismo, senza connessione emozionale e spirituale.

La vera danza contemporanea è quella che racconta, ma non nel senso che segue un forte filone narrativo, ma nel senso che racconta i sentimenti reali degli uomini trasportati nell’astrattezza del gesto e del movimento. I movimenti allora sono performativi, reali ed autentici perché esistono in quel momento e si verificano in maniera vera, fisica e sperimentale, perché le possibilità di azione e re-azione del corpo sono infinite.

Nel lavoro di Chenevier, tutto ciò appare molto chiaro ed anche la parola ed il suono diventano movimento proprio come pensava il grande teorico del movimento, Rudolf Laban, che individuò la relazione tra suono, parola e danza e definì che il corpo, muovendosi, disegna le sue traiettorie spaziali in una varietà data di possibilità.

Il Teatro di Marco Chenevier è, dunque, una forma di teatro aperta in cui l’arte vive di emozioni vissute. Quando racconta dell’accaduto, o interpreta la Montalcini, o danza, rende tutto vitale, tutto diventa movimento, dinamica ed espressione e la voce e la danza rivelano il loro significato originario.

Credo che la danza contemporanea debba uscire da una forte sterilizzazione creatasi negli ultimi anni e debba nutrirsi sempre del nuovo, attingendo a quello che succede nella vita e rendendolo drammaturgia e movimento.

Al termine dell’esibizione, il coreografo ha donato al pubblico un assaggio dello spettacolo dei giorni successivi, dal titolo molto complesso, come lui stesso ha definito, La scelta- Beati pauperes in spiritu- Eckhart Project, danzando sulle note di Bach e regalando ancora emozioni divine.

 

Quintetto

 

regia e messinscena Marco Chenevier e Smeralda Capizzi

coreografia ed interprete Marco Chenevier

produzione Teatro Instabile D’Aosta

con il sostegno del Mibac, Assessorato Istruzione e Cultura Regione Valle d’Aosta

in collaborazione con Körper

durata 1h 20’

 

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