Solo il nome Jan Fabre innesca in me il ricordo dello stupore inebriante e dell’eccitante curiosità che mi provocò la fruizione dello spettacolo Preparatio Mortis, a cui ebbi l’occasione di assistere nel 2015 al Mousonturm di Francoforte. Performer, drammaturgo, regista, coreografo, disegnatore, scultore, ricercatore, la sua creatività poliedrica e scientificamente acuta ci obbliga ad ampliare gli orizzonti della nostra comprensione, ci obbliga a sovvertire le categorizzazioni dell’arte per considerare universi sensoriali nuovi che solo le mutevoli combinazioni di immagini, motivi, note, forme e movimenti può provocare. Così il mago della metamorfosi, Jan Fabre (Anversa 1958) sbarca a Napoli e omaggia per una settimana la bella città con il suo genio.

Una maratona cominciata il 25 giugno che si conclude nell’ambito della X edizione del Napoli Teatro Festival Italia, sabato 1 luglio (ore 20.30) e domenica 2 luglio (ore 19) presso il Teatro Politeama (via Monte di Dio) con l’ anteprima mondiale della sua nuova produzione teatrale Belgian Rules/Belgium Rules, grazie alla quale potremo ammirare il talento registico di questo eclettico artista.
Questo programma così fitto e interessante, il coordinamento complessivo delle iniziative culturali dimostra l’importante sinergia in atto tra istituzioni regionali e nazionali, fra la sfera pubblica e l’iniziativa privata, e colloca la città di Napoli in una posizione competitiva rispetto altre realtà Italiane interessate alla promozione e alla valorizzazione dell’arte.
La maratona ha avuto inizio già lunedì 26 giugno presso lo Studio Trisorio (Riviera di Chiaia, 215) dove l’artista ha presentato la mostra My Only Nation is Immagination a cura di Melania Rossi. La mostra in esposizione fino al 17 luglio guida lo spettatore attraverso un percorso di ricerca condotto da Fabre sul rapporto tra arte e scienza. Cos’è la bellezza? Chi è un artista? Come rispondono i neuroni all’arte classica e cosa, invece, succede se fruiamo un lavoro d’arte contemporanea? Queste e molte altre domande sono la matrice dei diversi lavori esposti alla mostra: sculture, disegni e video in cui Fabre ha esaminato i processi psicologici che governano la creazione artistica e il godimento che questa provoca allo spettatore.
A questo evento è seguita nell’ambito di Per_formare una collezione (a cura di Melania Rossi, Laura Trisorio e Andrea Villani) la presentazione sul terrazzo del museo MADRE della scultura L’uomo che misura le nuvole (versione americana, 18 anni in più). L’opera (1998-2016) esposta già a Napoli nel 2008 in Piazza del Plebiscito – dove fu allestita insieme ad altre opere di Fabre – L’uomo che accende il fuoco (1999); L’uomo che piange e ride (2005); L’astronauta che dirige il mare (2006) e L’uomo che scrive sull’acqua (2006) – all’interno del progetto Il ragazzo con la luna e le stelle in testa (a cura di Eduardo Cicelyn e Mario Codognato), ritorna oggi a Napoli in una nuova versione. Nel realizzare questa scultura, che autoritrae in bronzo di silicio un Fabre a grandezza naturale posto sopra uno scaletto a misurare con un righello le nuvole sospese sopra i tetti di Napoli, l’autore ha dichiarato di essersi ispirato all’affermazione dell’ornitologo Robert Stroud, il quale, quando fu rilasciato dalla prigione di Alcatraz, disse che da quel momento in poi si sarebbe dedicato solo a “misurare le nuvole”. Sicuramente questa citazione colloca l’opera in un ambito storico e scientifico ben definito, ma ciò che sollecita la curiosità dello spettatore è l’utilizzo dell’autoritratto da parte dell’autore che conduce a ipotizzare che l’opera sia esplicitamente espressione di un evento legato alla vita personale dell’artista. Infatti Fabre ha composto questa scultura in omaggio ad una persona a lui cara, un sognatore, il fratello minore deceduto prematuramente. Così la coreografia delle idee mostra ciò che la danza tace, e l’opera si rivela essere per ciò che è: un inno alla capacità di sognare, di trascendere il tempo e lo spazio attraverso l’immaginazione. I curatori dell’esposizione infatti scrivono di questo lavoro: “La messa in scena di un’assenza memoriale che si impone come presenza scultorea, diventa il doppio metaforico di entrambe le personalità rappresentate, la cui unione genera un’energia che diviene movimento, tensione e vitalità”. Lui, il poeta della metamorfosi che esprime attraverso la contaminazione dei linguaggi performativi ridefinendo l’essenza dell’arte visiva e sovvertendo l’idea di ciò di cui si costituisce realmente l’arte coreografica nelle sue più sottili sfaccettature, con questa scultura propone il tentativo di pianificare l’impossibile: misurare attraverso la staticità scultorea un’entità mutevole e incostante come le nuvole. Jan Fabre dimostra con questo lavoro di riflettere su se stesso come artista e sullo statuto della ricerca dell’artista che, al pari di un quella di un qualsiasi altro scienziato, mira a travalicare il limite umano della conoscenza.
Non resta che andare al Politeama sabato 1 e domenica 2.luglio.

Letizia Gioia  Monda

Iscriviti alla newsletter di Campadidanza

Iscriviti alla Newsletter