Campadidanza Magazine ha lanciato quest’anno la prima edizione di “DANCE REWRITE – Bando di giornalismo e ricerca per Under 35”. Un bando rivolto a coreografi, danzatori, performer ed insegnanti di danza, così come studenti, ricercatori, operatori sociali, docenti e a chiunque volesse contribuire ad una nuova e diversa visione della danza. Ai partecipanti abbiamo chiesto di scrivere un articolo scegliendo fra tre ambiti: attualità “Come cambiare la danza con l’emergenza COVID-19; nuove prospettive di Didattica e Metodologia della danza; rilettura critica di un/una artista della danza del ‘900. In tanti hanno risposto e, alla fine, una giuria di esperti composta da Roberta Albano, Alessandro Toppi, Lorenzo Tozzi e Raffaella Tramontano ha scelto i vincitori i cui articoli sono stati pubblicati sul nostro sito. La giuria ha poi deciso anche di pubblicare alcuni articoli giunti in finale. Di seguito l’articolo della finalista per la sezione Attualità, Maria Cecere.

Buona lettura!

Al di là della distanza

“Se questo senso di divertimento e di soddisfazione personale viene meno (..) interesse, motivazione e soddisfazione saranno sostituiti da noia, ripetitività e alienazione, e l’utente avrà la sensazione di essere soltanto un’altra bestia ammaestrata che salta attraverso il solito vecchio cerchio” 1.

Il distanziamento sociale che snatura la danza

L’emergenza della pandemia da Covid-19 ha imposto, alla riapertura di scuole e accademie di danza, un ripensamento della lezione che prevede il distanziamento sociale durante lo svolgimento dell’attività fisica. Questa giusta precauzione mette però in luce la necessità di scindere la danza dal contatto e dall’ascolto reciproco delle sensazioni tattili e in parte, emozionali.

L’aspetto relazionale della danza però affonda le proprie radici all’origine della danza stessa, quindi nelle danze rituali e popolari come evento collettivo e di unione, di festa, di celebrazione. Separare la danza da questi aspetti potrebbe significare snaturarla, ridurla a mera attività fisica o a un alienante e ripetuto esercizio all’interno della propria area geometricamente delineata.

Quella scintilla di collettività che caratterizza l’arte della danza

Per far fronte a questa problematica potrebbe essere utile riconsiderare il valore relazionale e così ancestrale della danza e cercare di riproporlo in nuove modalità, con l’intento di mantenere viva quella scintilla di collettività che caratterizza l’arte della danza.

Le attività che potrebbero essere proposte agli allievi sono quindi di natura squisitamente relazionale, esercizi che attingono alle teorizzazioni di alcune pioniere della danza terapia come Marian Chace, Mary Whitehouse e Laura Sheleen che avevano intuito come il benessere psicofisico della danza fosse dovuto in gran parte e alla sensazione di sentirsi in un gruppo come parte di una comunità e allo stesso tempo come singoli a cui gli altri prestano attenzione.

Il benessere della danza sta nel sentirsi parte di un gruppo

Uno degli esercizi più utilizzati in questo campo, infatti, è quello dell’imitazione dei movimenti proposti da una persona nei confronti di tutto il gruppo che tenta di riprodurre le stesse movenze con la stessa qualità di dinamica, ritmo, forma, intento. Questo esercizio si può fare anche a coppie, in cui una persona guida il movimento dell’altro.

Infinite possono essere le varianti: si può proporre di danzare con un oggetto immaginato che poi viene passato tra i partecipanti, si può chiedere ai partecipanti di danzare pensando a una specifica tematica corporea o concettuale.

Questi esercizi, apparentemente banali, potrebbero essere un modo per riproporre in sicurezza l’ascolto tra gli allievi, porre l’accento sulla dimensione collettiva e l’attenzione all’altro che relativizza la dimensione dell’io e decentra il soggetto dal proprio narcisismo “a favore di un’alterità che lo costituisce e gli dà senso”2.

La connessione basata sulla qualità del movimento

La connessione tra i partecipanti potrebbe anche non basarsi unicamente sulla qualità del movimento, ma anche sulla comunicazione musicale e ritmica dei corpi, attraverso la body percussion, infatti “i partecipanti battendo le mani si scoprono sincronizzati; i cuori battono e battono insieme. (..) le barriere cadono tanto dentro di sé quanto al di fuori” 3.

Penso che queste attività all’interno della lezione di danza, anche solo per pochi minuti, possano essere utili per restituire ai danzatori quel senso di reciprocità e contatto che dona alla danza valore comunicativo, oltre che artistico. In queste attività il ruolo dell’insegnante potrebbe essere non solo quello di mediazione e conduzione, ma anche quello di partecipazione attiva, favorendo una complicità rinnovata, liberata, ritrovata tra esseri umani.

Maria Cecere

  1. Bernie Warren, Using the creative arts in therapy, New York, Routledge London, 1993 (Trad.it. a cura di Carmen Calovi, Arteterapia in educazione e riabilitazione, Gadolo (TN), Erickson, 1995), p. 69
  2. France Schott-Billman, Quand la danse guerit, s.l., s.e. 1994 (Trad. it. A cura di Laura Panza, Monique Lévin Roggero, Mafalda Traveni Massella, Quando la danza guarisce, approccio psicoanalitico e antropologico alla funzione terapeutica della danza, Milano (MI), FrancoAngeli, 2011), p. 231
  3. France Schott-Billman, Quand la danse guerit, s.l., s.e. 1994 (Trad. it. A cura di Laura Panza, Monique Lévin Roggero, Mafalda Traveni Massella, Quando la danza guarisce, approccio psicoanalitico e antropologico alla funzione terapeutica della danza, Milano (MI), FrancoAngeli, 2011), p. 234

Iscriviti alla Newsletter