The company in Matthew Bourne's Swan Lake

DUBLINO – Il quotidiano inglese “The Times” qualche anno fa scriveva: “The impact of this vibrant staging is undiminished; if anything it’s even stronger”.

A distanza di 19 anni la memorabile rivisitazione contemporanea Swan Lake, del coreografo Matthew Bourne, continua ad emozionare e sorpendere il pubblico, così come è successo qualche sera fa al Bord Gais Energy Theatre di Dublino. Felicemente mi sono ritrovata seduta accanto a turisti incuriositi, attente coppie di mezza età e tanti bambini usciti in tempo da scuola per andare a teatro. Dopo qualche anno in terra irlandese mi sono accorta, infatti che, pur con le solite difficoltà, quando vi è una bella programmazione di danza, la curiosità del pubblico risponde nel migliore dei modi. Lo hanno dimostrato i sorrisi sui volti dei bambini e i meritati applausi ad uno degli spettacoli contemporanei più “classici” degli ultimi tempi, accompagnato da un corpo di ballo maschile – i Sadler Wells di Londra – d’eccezione.

Swan Lake è l’originale rivisitazione del classico balletto di Marius Petipa, che ha consacrato Bourne come coreografo di fama internazionale. Un successo di pubblico e critica che ha reso l’opera tra le più rappresentate al mondo e tale da fare di Bourne l’unico inglese premiato nel 1999 con due Tony Awards, come Best Director e Best Choreographer di Musical. Memorabile è la citazione cinematografica nella scena finale del film di Stephen Daldry Billy Elliot dove Adam Cooper, indimenticabile primo interprete di Swan Lake, è il protagonista Billy. Uno spettacolo che non dimostra i suoi vent’anni: Bourne ha costruito uno schema coreografico fresco e di facile lettura ma, al tempo stesso, sorprendentemente stravolgente nella qualità del movimento, nell’ironia di personaggi, nella capacità evocativa della prorompente musica classica nella potenza del corpo mascolino. La vera bellezza sta nell’aver stravolto il canone classico della donna-ballerina-cigno per presentare un binomio affascinante e di uguale leggerezza uomo-danzatore- cigno. Una bellezza che, sotto le eleganti forme bianche, che creano l’illusione di un sereno fascino, celano in fondo una ferocia animale pronta ad uccidere.

Matthew Bourne si stacca dalla romantica imagine iconografica del Lago dei Cigni di tradizione, sostituendo il corpo di ballo femminile con un aggressivo ensemble maschile. Quando, nel 1995, fu presentata la nuova creazione di Bourne, suscitò molto scalpore la lettura omosessuale dell’amore tra il Principe e il Cigno. Ma il coreografo è bravo a celare l’ibrido tema dietro ad un “incipit” del primo atto fresco  ed ironico, accompagnando lentamente lo spettatore: i virili cigni maschi di fatto non fanno il loro ingresso fino al secondo atto, a più di trenta minuti dall’inizio dello spettacolo. Nel frattempo, abbiamo la storia di un giovane principe che, vincolatato dalle convenzioni del protocollo reale (un’ironica messa in scena delle dinamiche di una Corte che in molti aspetti ricorda quella anglosassone dei Windsor) lotta per trovare l’amore.  Il registro coreografico rivisitato in chiave moderna, i sarcastici personaggi, la divertente parodia di un balletto ottocentesco, lo “swan lake” che diventa una discoteca: tutto muove il sorriso degli spettatori. Ma ecco che, nel secondo atto, la parodia lascia il posto ad una visione onirica: l’apparizione del Cigno si presenta quando il principe sta contemplando il suicidio su una panchina, diventando rapidamente rappresentazione della libertà e dell’amore desiderato. La testa rasata, il torso nudo, i pantaloni piumati, gli occhi neri penetranti seducono il principe per un pas de deux fatto di salti, tilt, grandi diagonali, movimenti sincronizzati per un perfetto duetto d’amore tra sogno e realtà, fino al sopraggiungere della morte di entrambi che, come come in Romeo e Giulietta, eternizza il loro amore.

 

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