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Atsushi Takenouchi in “Vita e Morte e Fiori”

 Più che uno spettacolo di danza contemporanea, un’esperienza d’arte assoluta, straordinariamente sospesa fra Oriente e Occidente, archetipi e simboli, realtà e sogno. “Vita e Morte e Fiori”, coreografia bellissima quanto d’intensità rara, creata e interpretata con pieno successo da Atsushi  Takenouchi al Teatro Niccolini dell’Accademia di Belle Arti di Napoli per la chiusura della seconda sessione del Festival Internazionale del design promosso dalla Fondazione Plart, non solo incanta per le suggestioni infinite e non lontane dal realismo magico di un maestro dell’immagine quale il regista Akira Kurosawa ma, innanzitutto, convince. Convince per la superba sinergia paritetica fra le dinamiche del gesto, la musica dal vivo affidata alla bravissima Hiroko Komiya e i costumi, spettacolari, ideati e realizzati con una semplice Singer – secondo quanto dichiarato fra gli applausi e al termine della performance dalla stessa autrice Sonia Biacchi – utilizzando materiali fra i più disparati quali tela da surf, stecche di balena sintetiche, polistirolo, fibra di vetro.

Lo spettacolo inizia seguendo, nel buio della sala, un canto orientale lontano: è il melos dalla nuda intonazione di Atsushi Takenouchi che, lateralmente al pubblico, sfila e raggiunge il palcoscenico sul quale dà inizio ad una stupefacente galleria di trasformazioni entrando ed uscendo da fantasiosi costumi che, sparsi o sospesi come oggetti di scena, con lui si animano e interagiscono diventando i simboli di un racconto dai capitoli universali. Ed è così che, dal quel semplice canto d’Oriente, prende forma la scultorea plasticità di un Cristo crocifisso, entra in una candida gonna plissettata di stecche e attraversa ad un tempo il miracolo della gestazione e quello della nascita, passando forse per un attimo a riflettere anche sulla mela e sul peccato originale._DSC0189-2_DSC0216

A seguire, s’infila entro il cono di un abito in similpelle nera e, sciogliendo i lunghi capelli, va a intersecare l’uomo, la donna e uno scuro vulcano. Poi, c’è la vita: i colori e gli umori dell’infanzia, il volo di una geometrica farfalla, i molteplici petali rubini di un lussureggiante fiore. Le dinamiche sono lente, a tratti lentissime ma, come in un alto rito, cariche di tensione, vibranti ora di gioia, ora di dolore. Infine con chiusura ad anello, sempre dalla sala, Atsushi Takenouchi sfila di nuovo verso il palcoscenico ma, stavolta, indossando un ipnotico costume in bianco e nero, maschera ironica di una morte come uscita da una partita a scacchi. L’interprete danza, s’inclina, si stende sotto una pioggia leggera di petali color del sangue. E così il folgorante interprete giapponese maestro del butoh termina la sua parabola di archetipi uniti, nel medesimo, unico respiro, al sound specialissimo prodotto dal vivo con strumenti naturali, fatti di sassi, foglie e conchiglie del mare.

Paola De Simone       

 

 

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