BERLINO – Sono andato a vedere lo spettacolo della compagnia di Shang-Chi Sung al Dock 11.

Shang-Chi Sung è un ballerino e coreografo originario di Taiwan.
Da bambino, come sua madre, è stato fortemente influenzato dall’amore per la danza, tanto che all’età di 14 anni, espresse il desiderio di trasferirsi nella capitale per coltivare quella che era diventata la sua passione. La madre lo iscrisse alla National Dance Academy of Arts di Taipei, dove Shang-Chi ha studiato morden-dance, danza classica e danza popolare cinese.
Successivamente, trasferitosi a Berlino, Shan-Chi si è laureato presso la Ernst Busch University con un Master of Arts in coreografia
Con la sua compagnia, fondata nel 2007, ha creato diverse coreografie che sono state eseguite in tutta Europa e in Asia. Tra queste “Traverse” e “Uphill” andate in scena proprio l’altra sera al Dock 11.

All’ingresso, sono stato subito colpito dal fatto che consegnassero dei tappi per le orecchie.
Quando lo spettacolo è iniziato, era chiaro che la musica avrebbe avuto un ruolo centrale in quella coreografia – si trattava di un pezzo elettronico dal ritmo incalzante e ipnotico – ma non capivo il perché di quegli isolanti acustici, non mi sembrava che ce ne fosse realmente bisogno. Ad ogni modo, sebbene il volume della musica non ne giustificasse la necessità, ho provato comunque a usarli, scoprendo un effetto inaspettato.
Con quei tappi applicati alle orecchie, era come se la musica provenisse dall’interno del mio corpo e la danza fosse la rappresentazione fisica ed esterna di quanto stavo ascoltando.

La prima coreografia ad andare in scena (“Traverse”), è stata un breve ma molto intenso solo.

Photo by Achim Plum
Photo by Achim Plum

I movimenti del coreografo-danzatore Shung-Chi Sung, prima lenti e calibrati e poi velocissimi e ritmati, erano incredibilmente precisi anche quando si tramutavano in una sequenza vorticosa. Mi ha sorpreso perché era sempre leggibile il punto dal quale partiva ogni gesto e la fluidità nella sua esecuzione.
“Uphill”, il pezzo successivo, mi è sembrato la naturale prosecuzione della prima coreografia.
Se nel primo pezzo il danzatore prendeva coscienza dello spazio attraverso la sua danza, in Uphill – un trio – c’era la scoperta dell’altro.
Lo schema che consentiva l’incontro dei danzatori, si ripeteva attraverso un linguaggio corporeo codificato che aiutava lo spettatore a seguire l’evoluzione della coreografia in modo lineare e rassicurante. Il contatto mai casuale dei ballerini, suggeriva proprio l’idea del bisogno e della ricerca del prossimo, come avviene anche nella vita.
Del resto è stato lo stesso coreografo a spiegarmi che sono gli amici e la famiglia ad alimentare la sua passione per la danza e per la coreografia e che le più grandi soddisfazioni gli derivano dal vedere i suoi danzatori soddisfatti e contenti nel lavoro e nella vita privata.

Contento della serata e della bella danza, in attesa di “Nexus”, il prossimo lavoro di Shung-Chi Sung, mi riprometto di vedere l’ultimo successo della compagnia: “The Photographer” (coreografia su musica di Philip Glass con 19 musicisti dal vivo e 3 ballerini/attori).

Nicola Campanelli

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Danzatore per la Compagnia di danza contemporanea “Connecting Fingers”, di base a Berlino, dove collabora con coreografi e direttori artistici di fama internazionale. E’ inoltre istruttore di Pilates.