Parete Nord
Francesco Saverio Cavaliere in Parete Nord

ROMA – Sabato 15 e domenica 16 maggio approda al Teatro Argentina la potenza della coreografia di Parete Nord, del Leone d’Argento Michele Di Stefano con MK, che esplora il rapporto fra il performer e la montagna, elemento naturale assoluto e imprendibile.

I danzatori si confrontano con la mitologia dell’inaccessibile

Sulle tavole del palco i danzatori si confrontano con “l’esterno”, con la mitologia dell’inaccessibile, fino a smarrirsi e a dissolversi nella vastità del paesaggio. In scena Philippe Barbut, Biagio Caravano, Francesco Saverio Cavaliere, Sebastiano Geronimo, Luciano Ariel Lanza, Laura Scarpini e Francesca Ugolini. Le musiche sono di Lorenzo Bianchi Hoesch, il disegno luci e la direzione tecnica di Giulia Broggi (Firefly, 2018, courtesy First Rose). Gli abiti sono a cura di Matteo Thiela.

Sul palcoscenico il coreografo affronta il mito della montagna con la straordinaria capacità di astrazione che da sempre contraddistingue il suo lavoro. Tale capacità per quest’opera si ispira a un “altrove” fisico e semantico; un luogo concreto e simbolico nel quale i danzatori si muovono secondo una struttura evocativa e mai didascalica, passando da punteggiature di incontenibile energia a progressioni caute all’attacco dello spazio.

Lo spettacolo ha la forma di un dittico

Lo spettacolo ha infatti la forma di un dittico. A una prima parte costruita sul dinamismo incessante e serrato dei performer si succede una scena di paesaggio. Tale commistione crea il plastico in movimento di una veduta alpina mossa da eventi misteriosi e ispirata dalla “disubbidienza geografica” che ogni territorio montano porta con sé.

«La montagna è imprendibile perché assoluta e sempre pronta a franare, dunque irresistibile per il corpo del danzatore così come per quello dello scalatore, votati ad affrontare un costante allenamento al vuoto attraverso l’intelligenza motoria del fare, che parte sempre da un attacco: della parete o della coreografia » commenta Di Stefano.

«Entrambi si muovono nella vastità del paesaggio e corrono dei rischi per procedere ad una trasformazione cruciale, diventano cioè il paesaggio stesso, assorbendone tutte le informazioni e restituendole in forma di spostamento continuo. Affrontare una danza come una concatenazione di movimenti vuol dire qui utilizzarla per esplorare l’esterno, mitologia dell’inaccessibile inclusa, e per provare a perdere la figura in questo esterno. Dissolversi nel mondo infine; quel che si vede dalla cima è incidentale».

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