LUSSEMBURGO –  Il Grand Théâtre de Luxembourg era completamente sold out quando giovedì scorso è andato in scena uno straordinario Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch con la deliziosa piéce “Masurca Fogo”. E il pubblico è andato letteralmente in delirio. Vedere uno spettacolo della capostipite del teatro-danza, che tanto è amata da queste parti raccogliendo consensi di pubblico di ogni età, in un particolare momento storico come il nostro, è una di quelle cose che fanno bene al cuore e alla mente. Nel proporre “Masurca Fogo”, piéce creata dalla Bausch in coproduzione con l’Expo di Lisbona e l’Istituto Goethe nel 1998, il Grand Théâtre de Luxembourg ha rispettato la direzione del suo programma concentrato sui grandi nomi della danza contemporanea (il mese di Gennaio vede in scena la compagnia di Sidi Larbi Cherkaoui e quella di Israel Galván), per tessere tra loro un fil rouge offrendo al pubblico un punto di vista unico da cui guardare il nostro tempo, ovvero quello della danza.

Nel 1998, quando le viene commissionato lo spettacolo da parte della città di Lisbona, Pina Bausch aveva iniziato già da tempo a raccontare l’anima delle città: città-soggiorno da cui apprendere, vissute come “serbatoi di sollecitazioni”, spunti di emozioni e di riflessioni per un discorso sull’ essere umano ritrovato e riscoperto nelle diverse latitudini del mondo. Erano gli anni di “Palermo Palermo” (1989) dedicato al capoluogo siciliano, di “Tanzabend II” (1991) per Madrid, di “Nur Du” (1996) realizzato per Los Angeles, di “Der Fensterputzer” (1997) per Hong Kong, e lo sarà per “O Dido” (1999) dedicato a Roma. Lo spettacolo nasce in un’epoca in cui la capostipite del teatro-danza, abbandonate le atmosfere drammatiche e i conflitti del disagio esistenziale con l’urto delle crudezze delle relazioni umane che avevano caratterizzato le sue creazioni, sembrava aver trovato una più pacata visione del vivere.

Per chi conosce Lisbona non è difficile ritrovare l’anima poetica e languida che anima le strade dell’Alfama, specialmente in una sequenza di danza, quasi a chiusura di spettacolo: uno struggente assolo su un fado di Amalia Rodriguez, mentre il rumore e le immagini filmate delle schiumose onde atlantiche sommergono la scena. L’acqua è parte integrante di tutta la piéce, fin dalla scenografia: un enorme scoglio nero taglia la scena bianca. Una montagna da percorrere lentamente come un sentiero, ma al tempo stesso irta e difficile da scalare, scivolosa da scendere. Il rumore delle onde accompagna l’ultimo quadro, ma l’acqua – quella vera – è spesso presente sulla scena: incontaminata e luminosa, spesso simbolo di purificazione, altre volte sottile parabola sessuale, fino all’esasperazione quando riempie dei grandi teloni di plastica dove i danzatori, con tanto di maschera e costume da bagno, nuotano mentre un enorme tricheco appare sulla scena. Il tema è già chiaro fin dall’inizio quando vediamo una donna che viene fatta scivolare, quasi galleggiasse nell’acqua, sopra le braccia tese di una fila di uomini sdraiati per terra e sospirare ‘orgasmicamente’ nel microfono. La sessualità non è mai evidente ma sempre pronunciata in maniera sottile, distaccata, metaforica e a volte sarcastica per un racconto dai toni divertenti ma, al tempo stesso, molto profondi. In scena gli uomini “machi” che con la loro sigaretta fanno scoppiare palloncini che vestono una donna, o che fanno innamorare nascondendo coriandoli dai cappelli, uomini che impazziscono per amore tanto da correre tra il pubblico; dall’altra parte donne sensuali dal fascino latino come quelle dell’ex impero coloniale portoghese, spesso soggiogate dalla dinamica uomo-donna, peccatrici costrette ad agguantare con la bocca la mela del peccato in una bacinella di acqua, donne esauste che bevono caffè colmi di zucchero, e che diventano facili prede o predatrici. L’assurdo teatro della Bausch è presente, così come la voce che spesso anima la scena, ma è la danza la vera protagonista e ogni gesto, ogni associazione di immagini diventa un gioiello prezioso per i nostri sensi. Le musiche sono varie dal fado cantato da Amalia Rodrigues ai tamburi portoghesi di Rui Junior, al Valse Brésilienne al Jazz, al Tango di Gidon Kremer ai ritmi di Capo Verde, soprattutto quando appare un filmato ( che accoglie il pubblico nel secondo tempo) di ballerini brasiliani che sovrastano quelli più piccoli sul palco; e non c’è niente di più delizioso  di quando la Bausch fa ballare i suoi danzatori a ritmo di samba in una capanna che sembra essere parte di una favela brasiliana.

Ma è soprattutto negli assoli maschili e femminili che si respira l’immenso mondo interiore della Bausch, così Lisbona diventa solo un pretesto per parlare di un desiderio profondo come il mare, di quella pace col mondo raggiunta: ci accompagna il suono delle onde infrante sugli scogli, sulle pareti della grande scatola scenica le immagini di grandi fiori rossi che schiudono i loro boccioli mentre le coppie , dopo una danza di corteggiamento, si stringono tra loro dormendo sulla scena e sognando ognuna nella propria pace interiore.

Roberta Bignardi

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