Afrodita y el juicio de Paris
Afrodita y el juicio de Paris

E’ stata una delle prime compagnie al mondo a contaminare i molteplici linguaggi espressivi: teatro, musica, cinema, danza, video-immagini, circo e chi più ne ha più ne metta, e a rompere gli schemi convenzionali a proposito di spazi diversi, rapporto col pubblico, odori, profumi, contatto con la materia. Da lunghi anni ‘La Fura dels Baus’, compagnia catalana nata nel 1979, ha saputo crearsi uno spazio di tutto rispetto nel panorama mondiale- hanno curato la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Barcellona e brand importanti gli affidano le loro campagne promozionali- puntando tutto sull’emotività, in una società che esprime il proprio pensiero in una forma sempre più multidisciplinare.

Grande attesa dunque, a Napoli, per Afrodita y el juicio del Paris, in scena all’aperto nel Parco della Mostra d’Oltremare, per l’ottava edizione del Napoli Teatro Festival. Circa cinquemila persone sono accorse, una presenza massiccia, attirata dalla certezza di assistere ad uno spettacolo unico e coinvolgente. Ma così non è stato, almeno nella gran parte dello svolgimento, slegato e frammentario, poco affascinante, con qualche piccolo colpo di scena.

Lo spunto da cui è partito Pera Tantiña – ideatore e regista dell’evento- è quello mitologico del pomo della discordia: Paride, come tutti sanno, sceglie di amare Elena e di regalare la mela ad Afrodite. “Il tema della discordia che genera invidia – spiega Tantiña – è molto presente nelle relazioni di oggi, da quelle personali a quelle politiche, tra le squadre di calcio o i paesi…L’invidia genera discordia e distrugge qualsiasi spirito cooperativo impedendo che la società lavori per un interesse comune. Mi piace molto attingere dalla mitologia greca, un serbatoio che contiene tutti i tipi di passioni umane descritte e trattate con consapevolezza e lucidità. Paride ha fatto la scelta più umana: è un uomo che desidera una donna, sceglie la bellezza. Decisione che più avanti porterà ad una guerra…”

Tutto avviene ‘in aria’, tra gru infinite che si perdono nello spazio aperto del cielo, dall’arrivo delle prime dee (risolto tristemente in pochi e confusi movimenti sul grande palcoscenico) ad un uomo che scende dal muro del Teatro Mediterraneo, e poi l’immancabile cavallo bianco e Afrodite, un enorme manichino di ferro, trainato a braccia da un gran numero di persone in mezzo alla folla mobile (nessuna transenna delimitava lo spazio di azione). Una grande ruota bianca di fuoco ha rotolato lenta ed inesorabile per vari metri ed è tornata indietro mentre si preparava il parto (sempre in aria) che ha tenuto col fiato sospeso più per l’acqua che cadeva sulle teste degli spettatori che per l’evento in sé, totalmente disgiunto da un’azione drammaturgica ‘teatrale’.

Gran finale con quaranta angeli volanti riuniti in un unico quadro, che in qualche modo ne limitava anche i movimenti. Sullo sfondo fuochi d’artificio a volontà. “Ogni spettacolo porta il segno delle persone che lo realizzano: dai guidatori delle gru ai burattinai che danno vita ad Afrodite, fino alle danzatrici che impersonano le dee o ad ognuna delle persone che prende parte alla rete umana. E’ proprio l’aspetto umano che ci interessa. Afrodita è realizzato per la città e con le persone della città. L’esperienza che i partecipanti si portano a casa è per noi il più bel regalo: l’emotività che suscita lo spettacolo è frutto di questa esperienza collettiva.”

Seppure apprezzabile lo sforzo di mettere insieme tanti elementi, ci si aspettava di più.

Elisabetta Testa

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