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Il suggestivo “crescendo” rossiniano di Astolfi al Bellini

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foto Cristiano Castaldi

Gioachino Rossini nel 2018 è stato commemorato per i 150 anni dalla sua morte e Napoli, città in cui il suo genio musicale si è espresso con continuità e con risultati che hanno reso la sua fama immortale, gli ha dedicato un importante convegno dal titolo “Di questa luce un raggio” ad ottobre 2018 realizzato con la collaborazione dell’Università di Napoli “Federico II”, il Conservatorio “S. Pietro a Majella” di Napoli e il Conservatorio “Domenico Cimarosa” di Avellino. Ovviamente la sua città natale, Pesaro, ha ugualmente celebrato la figura dell’illustre musicista con un ricco calendario di iniziative tra cui la coreografia presentata dalla Spellbound Contemporary Ballet di Mauro Astolfi, ROSSINI OUVERTURES, in scena al teatro Bellini di Napoli il 23 e il 24 febbraio. Lo spettacolo, coprodotto dal Comune di Pesaro e dal Teatro Rossini, e realizzato con il contributo del MiBACT – Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Regione Lazio in collaborazione con il Comune di Pesaro & AMAT ha girato per molti mesi tra Spagna, Hong Kong, Bielorussia, Germania, USA, Indonesia, Thailandia, ed ha vinto il premio Siae S’illumina per Tour Internazionali. È stato un peccato dover constatare, per la prima di sabato 23, la mancanza in teatro di tutti i giovani che in città e in provincia studiano danza, e di tanti operatori del settore, impediti forse dalle condizioni atmosferiche. Era presente, invece, Sergio Ragni, prezioso studioso e collezionista di Rossini, proprietario di una casa museo dedicata al compositore e testimone con testi autografi, spartiti e cimeli vari, della vita del compositore e del suo stretto rapporto con il pubblico napoletano che lo aveva adottato come concittadino. Rossini Ouvertures è un lavoro agile e interessante, in cui le musiche di Rossini fanno da filo conduttore delle suggestioni di un personaggio, celebre e discusso, che ebbe una vita emozionante e ricca di avventure e viaggi poichè visse a Bologna, Napoli, Vienna, Parigi, Firenze. Dopo l’apprendistato musicale nella propria città e gli studi al Conservatorio di Bologna, Rossini iniziò a farsi notare tra i giovani compositori per la realizzazioni di alcune farse e opere comiche a Venezia e a Milano ma è a Napoli, allora capitale teatrale italiana e dove arrivò nel 1815, che si affermò il suo genio, stimolato dalla ricca tradizione musicale cittadina e dal confronto con l’opera seria. Importante fu il rapporto con Domenico Barbaja, direttore dei teatri di Napoli, che lo conquistò con un contratto in cui Rossini era condirettore del San Carlo e socio negli affari sul gioco d’azzardo dell’abile impresario. Ma l’intrigo amoroso con la compagna e amante di Barbaja, la cantante Isabella Colbran, che divenne ispiratrice del musicista e sua futura moglie, portò al tradimento della fiducia dell’impresario e amico. Fu così che, dopo sette anni di intensa attività a Napoli, Rossini si diresse prima a Vienna e poi a Parigi dove ormai era celebrato come un maestro indiscusso. Ma lì iniziarono anche i dubbi sulla sua vena creativa che gli apparve spenta e ormai superata dai giovani autori che avevano messo in pratica le sue innovazioni sul melodramma. Il rapporto con la Colbran, di circa otto anni più anziana di Rossini, nel frattempo andò in crisi portando al suo ritiro a Castenaso dove morì in solitudine. Solo in vecchiaia Rossini, che nel frattempo aveva sposato Olimpia Péllisier, si riconciliò con il vecchio amico Barbaja in un suo breve soggiorno a Napoli. Nella coreografia di Astolfi tutto ciò, ovviamente, non appare, ma il coreografo è riuscito ugualmente ad interpretare la complessa interiorità del musicista, da alcuni considerato quasi bipolare, tormentata da memorie angosciose e paura della morte. Astolfi parte in sordina, influenzato dalla suggestione di mettere in danza i ritmi vivaci e i virtuosismi musicali delle ouverture del Barbiere di Siviglia, dell’Italiana in Algeri, del Turco in Italia o del Tancredi, di cui si individuano solo gli appetiti sessuali e i desideri che segnano gli intrecci amorosi delle opere, ma senza alcuna caratterizzazione esplicita. I primi anni di vita artistica di Rossini sono segnati da una vivacità produttiva inesauribile e nevrotica (il Barbiere di Siviglia è stato composto in meno di tre settimane) e il coreografo ne segue il ritmo con un alternarsi continuo di duetti, terzetti, quartetti tra i danzatori Lorenzo Capozzi, Alice Colombo, Maria Cossu, Pablo Girolami, Mario Laterza, Giuliana Mele, Caterina Politi, Giacomo Todeschi e Aurora Stretti, tutti bravissimi. Tra loro si susseguono, in un continuo cercarsi, prendersi e lasciarsi, momenti di danza piacevoli ma, forse, un po’ ripetitivi. Ad un certo punto Astolfi cambia registro, e da una danza sostanzialmente astratta, passa, in un crescendo rossiniano, finalmente a giocare con il teatro, i segni e le “allusioni semantiche” e a coinvolgere completamente la scenografia realizzata da Filippo Mancini insieme a CHIEDISCENA di Filippo Tiezzi. Si tratta di una grande parete attrezzata piena di cassetti e comparti da cui prendono vita i ricordi, i desideri, sono infatti più volte rese esplicite la passione del compositore per il bere e mangiare, ed escono i personaggi delle sue opere e della sua vita. Sulla cavatina del “factotum” del Barbiere di Siviglia, si allude chiaramente alla nevrosi creativa che affligge ogni artista, ed in particolare Rossini, autore, secondo la definizione di Baricco , di una “follia organizzata”. Sulle note del Guglielmo Tell e della Gazza ladra i protagonisti maschili sono vestiti in mutandoni e camiciola come i Drughi di Arancia meccanica di Stanley Kubrick, regista che utilizzò ampiamente le musiche di Rossini nel suo film. Ma ecco che, con lo Stabat Mater, nella coreografia di Astolfi diventa sempre più incombente la ballerina completamente in nero che angoscia e possiede Rossini, relegato in un letto di malattia e sofferenze da cui si alzerà sempre più raramente ed in cui la sua creatività sarà ormai legata e priva di espressione. Rossini Ouverutres è un progetto ambizioso ed importante che riesce a coinvolgere e ad interessare il pubblico giocando, talvolta un po’ troppo  timidamente, con la vita e le opere di Rossini e le innumerevoli immagini musicali da lui create.

Roberta Albano

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Docente di Storia della danza all’Accademia Nazionale di Danza di Roma è laureata al DAMS dell’Università di Bologna in “Semiologia dello Spettacolo”. Docente di danza classica abilitata all'AND, è critico di danza, studiosa e autrice di saggi e monografie sulla danza. Dal 1990 al 2014 è vicedirettrice dell’associazione Movimento Danza di Gabriella Stazio. E’ inoltre socio fondatore di AIRDanza - Associazione Italiana per la Ricerca sulla Danza.