Quella tra il Tokyo Ballet e Maurice Béjart è una solida unione più che ventennale: era il 1982 quando la compagnia nipponica, con Bolero, interpretò per la prima volta una creazione del coreografo francese. Da qui ebbe inizio una collaborazione lunga e fortunata, che portò il genio della danza del XX secolo a realizzare tre nuovi lavori (The Kabuki, 1986; Bugaku, 1989; M-Mishima, 1993) per i danzatori del Sol Levante, e che lo indusse più tardi, in occasione del trentennale della stessa compagnia nipponica, a decidere che essa fosse l’unica autorizzata a riproporre il suo capolavoro Le Sacre du printemps. Il grande Béjart, com’è noto, ci ha lasciati nel 2007, ma non si è mai sciolto il sodalizio con il Tokyo Ballet, che continua a far rivivere nel mondo il suo genio coreografico. Questa volta l’omaggio dei danzatori giapponesi all’artista che ha rivoluzionato la danza è stato reso in un luogo spettacolare: le Terme di Caracalla. Per celebrare i suoi cinquant’anni il Tokyo Ballet ha portato tra le rovine romane il 27 ed il 28 giugno il trittico Danses Grecques, Don Giovanni e Le Sacre du printemps. Questo doppio appuntamento si inserisce negli appuntamenti che compongono il cartellone estivo del Teatro dell’Opera.
Le luci si spengono, entrano in scena i danzatori. Si inizia con Danses Grecques su musica di Mikis Theodorakis. La location di forte impatto visivo, la precisione dei corpi che riempiono l’intera scena, la forza della danza di Béjart: tutto questo si mescola, si amalgama, diventa puro spettacolo, colpo d’occhio straordinario per chi guarda. Nelle antiche terme dei romani, i danzatori del Giappone si fanno interpreti del folklore greco così come fu sentito da Béjart. Un folklore che ha rivisitato, pur nel rispetto delle tradizioni, privandolo di qualsiasi eccesso e rendendolo minimale, rigoroso. Questa riduzione all’essenziale ha il merito di focalizzare l’attenzione sull’insieme perfetto di passi e musica e sulle emozioni che essi suscitano. Corteggiamento ed inganno, seduzione e vanità, sono invece i temi del Don Giovanni, il capolavoro di Mozart riletto da un diciassettenne Chopin. Solo donne sul palco per raccontare la storia del seduttore per antonomasia. E’ in una sala prove che le giovani donne, aspettando di iniziare le prove, si contendono questo sciupafemmine immaginario mostrandogli tutta la loro passione. A loro si contrappone la figura mitica di una Sylphide, che con il suo candido tutù sta a simboleggiare il vecchio ideale di donna romantica in chiara antitesi al contemporaneo stereotipo di donna indipendente e combattiva. Il Don Giovanni di Béjart è dunque al femminile. Lui, il playboy, non appare mai, salvo identificarsi a coreografia conclusa con un attrezzista che percorre la scena. Si chiude con la primavera dirompente dell’artista di Marsiglia. Come può esplodere l’istinto nella perfezione dei movimenti? Quello che sembra un ossimoro, l’impulso contro l’equilibrio, il caos contro l’ordine, diventa immagine reale nel balletto leggendario del coreografo, diventato per la sua bellezza ed energia un vero e proprio inno alla vita. Non stupisce affatto che Béjart abbia concesso, a suo tempo, il diritto di danzare questo titolo in esclusiva al Tokyo Ballet. La maggiore compagnia del Giappone ha portato a Roma danzatori nei cui corpi minuti si condensano tecnica, precisione dell’esecuzione, ma anche capacità di trasferire, danzandole, le emozioni. Le Sacre du printemps non è un semplice balletto, ma un rituale panteistico che celebra il continuo rinnovarsi della vita. Per il maestro francese la danza aveva una profondità culturale reale, il movimento andava ben oltre dall’essere asettico esercizio, era comunicazione. Questa idea l’hanno ben prima assimilata e poi resa i danzatori, che nell’intero trittico non hanno solo raccontato delle storie, ma hanno riportato in vita immagini, sensazioni e volontà del loro creatore. Di certo colui che portò la danza fuori dai teatri sarebbe stato contento di aver visto le sue coreografie in contesto monumentale come quello delle Terme di Caracalla, un palcoscenico di rara bellezza che ha valorizzato il lavoro di un genio indimenticato e di una compagnia di grande livello.
(Foto di Luciano Romano)

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