NAPOLI – Manuela Barbato ed Emma Cianchi, consulenti artistiche per la danza al Bellini di Napoli, accolgono il pubblico al Piccolo. Presentano la serata con tono confidenziale, una appoggiata alla spalla dell’altra. L’atmosfera, tra pochi intimi, si fa calorosa. Gli spettatori sono lì per vedere Chat – Keep in touch della compagnia Cornelia, coreografia dal giovane napoletano Nicolas Grimaldi Capitello.

Barbato e Cianchi si sono ispirate al mondo della musica e hanno deciso di far aprire alcuni spettacoli ad artisti emergenti. Così quattro danzatori provenienti dalla GiuliArt Academy, con un’esibizione di pochi minuti, sono riusciti a mettere in campo abilmente il proprio talento.

Il gesto ripetitivo e ossessivo

Poi a salire sul palco sono Samuele Arisci, Eva Campanaro, Sibilla Celesia e Marco Munno. Il lavoro parte da una riflessione sul concetto di connessione e su come questo sia mutato nel corso del tempo, soprattutto a causa dell’utilizzo dei social media. Non solo sta cambiando il nostro modo di vivere i rapporti, ma, secondo studi antropologici, a trasformarsi è anche il nostro corpo.

E Chat pone al centro tale metamorfosi corporea. Comincia con un interessante studio sul suono, prodotto dagli stessi performer: quei rumori di notifiche e suonerie che accompagnano la giornata di ciascuno di noi. Ma di fronte a questo suono il corpo non rimane impassibile. Ne viene influenzato, seppur in modo impercettibile, continuamente. Così come anche da selfie, foto e svariate posture.

Capitello trasporta il pubblico in un futuro prossimo fatto di meccanicità e alienazione. Il gesto si fa ripetitivo e ossessivo; le espressioni facciali e il movimento pare cerchino nuova natura. I danzatori, di straordinaria interpretazione, camminano in fila, si schierano, quasi a ricordare atmosfere da Grande Fratello di Orwell o Metropolis di Lang.

La massa e l’individuo

I corpi dei performer si contorciono su una scena spoglia, sotto luci cupe e in sottofondo suoni perennemente disturbati e disturbanti. I loro movimenti si ripetono, pur sempre con qualche elemento asincrono. Fanno tutti parte della stessa massa, ma non per questo perdono una certa individualità. Nonostante l’automazione e lo straniamento, la massa presenta ancora la sua umanità, in particolare nell’incontro con l’altro, nella connessione con l’altro. Cambiano i mezzi, ma l’uomo rimane un animale sociale.

Il punto di vista che fornisce Capitello non sembra negativo, o almeno non completamente. Pare piuttosto voler registrare la trasformazione, non demonizzarla. La storia prosegue, insieme ai mezzi di comunicazione e all’uomo stesso. L’individuo portato in scena dal coreografo napoletano accetta questa nuova condizione, si adatta, non la subisce passivamente proprio perché non rinuncia alla sua essenza più umana.

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