Guido Sancilio
Guido Sancilio

Insospettabile. Quando parla è un fiume in piena. Occhi neri scintillanti, sorriso accattivante, determinato, coraggioso, grande affabulatore, Guido Sancilio- fotografo- nasconde una spiccata sensibilità ed una forte volontà nell’aiutare i bambini più sfortunati. Dal mondo dorato della moda a quello evanescente della pubblicità, fino a quello artistico della danza, continua a dedicare tutte le sue energie all’ impegno sociale, dimostrando una grande nobiltà d’animo.

Com’è nata la passione per la fotografia?

Per caso. Sono nato a Roma e cresciuto in una step family con tanti fratelli, in seguito alla separazione dei miei genitori. Quando avevo sei anni mio padre mi regalò la prima macchina fotografica. In breve tempo mi sono accorto che riuscivo ad esprimermi meglio con le immagini che con le parole.

Quali sono state le difficoltà?

Mi sono laureato in scienze della comunicazione, volevo intraprendere un percorso indipendente. Ho sempre escluso dalla mia vita un lavoro da ufficio o dipendere da qualcun altro. Ho cominciato entrando nel mondo della pubblicità, lavorando per clienti importanti. Sono una persona molto impulsiva e dopo un po’ di tempo ho deciso di camminare da solo, sono giovane e il coraggio non mi manca. In italia se sei conosciuto per un ruolo è difficile che poi riescano a vederti diversamente, e io avevo paura di rimanere incastrato in quello di assistente. A 25 anni sono entrato nell’inferno del mondo del lavoro in cui conta tanto chi conosci, essere diplomatico, andare agli aperitivi…cose che odio.

Con fatica ho trovato il mio spazio realizzando progetti importanti per tanti marchi prestigiosi. Ho iniziato a guadagnare bene ma mi sono sempre guardato intorno, attento a ciò che succede nel mondo, soprattutto quello dell’infanzia. Ho fatto un viaggio in Bielorussia e ho visitato gli orfanotrofi negli anni in cui erano terrificanti. Ho cominciato a organizzare progetti per aiutarli, sfruttando il mio lavoro di fotografo vendendo prodotti che poi venivano utilizzati per raccogliere fondi. Ho raccolto seimila euro e sono partito con un camion, abbiamo comprato camere da letto, materassi e cucina per 130 bambini; alcune ragazzine le ho seguite, facendole studiare, ora sono sposate e hanno anche dei figli. Una di queste aveva una sorella gemella dalla quale era stata separata da piccola, io l’ho aiutata a ritrovarla. In un altro orfanotrofio per sordomuti dove i bambini non erano neanche curati ho portato un medico che li ha visitati, la metà di questi bambini era recuperabile… Sono andato a parlare con l’ambasciatore bielorusso a Roma, “tutti vi conoscono per  orfani e alcolismo- gli ho detto- io so che invece avete delle  eccellenze che sono uniche come la danza, la ginnastica artistica, la musica. Se voi mi aiutate ad entrare in questi ambiti io vi prometto di diffondere la vostra cultura e aiuterò i vostri bambini sostenendoli con progetti che mi inventerò di volta in volta.” Ho fatto il primo calendario con l’Accademia del Bolscioi di Minsk, che loro hanno venduto, e con questi soldi ho comprato protesi acustiche per 90 ragazzi. Ho conosciuto una bambina nata con una malformazione terrificante e l’ho fatta operare tra mille difficoltà burocratiche. Ma aiutare i più deboli è l’unica soddisfazione che abbiamo nella nostra vita.

E la danza?

E’ un mondo che mi affascina moltissimo. La mia abilità nel riuscire a cogliere il momento giusto viene dal fatto che per quindici anni ho praticato ginnastica artistica a livello agonistico ed ho insegnato. La  foto di danza non si scatta con gli occhi ma con le orecchie, è musica. Bisogna sentire la musica più che seguire i movimenti. Per due anni sono stato il fotografo ufficiale del MAB.

Cosa rappresenta l’obiettivo per un fotografo?

Dipende dagli ambiti, non ha sempre la stessa valenza: nel sociale fotografando situazioni di morte, realtà terribili come gli ospedali di oncologia, il terremoto di Haiti, l’obiettivo è un filtro invece per l’ambito artistico come la danza, la moda, la bellezza, è una mano che mi porta a toccare l’immagine.

Che cosa la emoziona?

Tantissime cose, continuo a fare esperienze a contatto con i bambini, non voglio crescere voglio restare come loro, non hanno schermi, sono veri.

Ha mai avuto paura?

Si, paura di non riuscire ad ottenere ciò che mi aspetto. Riesco sempre a portare a termine un lavoro, molto raramente ad essere soddisfatto.

Dove vuole arrivare?

Non lo so e non lo voglio sapere, mi affido a ciò che sento, è inutile programmare. Da dieci anni faccio questo lavoro e non immaginavo di arrivare fin qui, anche il mondo della danza non era nei miei pensieri.

Prossimo progetto?

Sto collaborando con un’associazione monegasca per costruire un dormitorio in Tanzania.

Che cos’è la danza per lei?

La bellezza estrema della donna. La danza è femmina ed è classica.

Elisabetta Testa

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