Campadidanza Dance Magazine ha lanciato anche quest’anno “DANCE REWRITE – Bando di giornalismo e ricerca”. Un bando rivolto a coreografi, danzatori, performer ed insegnanti di danza, così come studenti, ricercatori, operatori sociali, docenti e a chiunque volesse contribuire ad una nuova e diversa visione della danza.

Ai partecipanti under 35, della seconda edizione, abbiamo chiesto di scrivere un articolo scegliendo fra tre ambiti di scrittura: “Danza, nuove tecnologie e media”; “Interviste: la danza o uno spettacolo raccontati da un danzatore, coreografo o musicista”; “Artista contemporaneo vivente dal secondo Novecento in poi”.

In tanti hanno risposto e, alla fine, una giuria di esperti composta da Rossella Battisti, Elena Cervellati, Alessandro Toppi, Lorenzo Tozzi e Raffaella Tramontano ha scelto i vincitori. Di seguito l’articolo scritto dalla vincitrice della sezione “Artista contemporaneo vivente dal Secondo Novecento in poi”, Virginia Veltri.

Gli articoli vincitori saranno pubblicati anche sulle testate partnership Il mondo della musica, Il Pickwick e Theatron”.

Buona lettura!

Rocío Molina: una irriverente bailaora per un flamenco oltre i confini del corpo

L’arte è accompagnata da definizioni postume o prossime: la società classifica per intendere il fare dell’uomo, mettere ordine all’ignoto. Si parla oggi di flamenco contemporaneo, ben distinto dalla tradizione, quando la creazione artistica non risponde allo script, quel sapere performativo implicito, ciò che l’occhio è abituato a vedere, l’orecchio assuefatto ad ascoltare. In questo terreno incerto la “bailaora” Rocío Molina, nata a Malaga nel 1984 ed oggi una delle artiste spagnole più conosciute a livello internazionale, opera con irriverenza e convinzione. Durante una danza, nel programma televisivo Ted Madrid (2017), affermava: «Yo no evoluciono, yo soy» (Io non sviluppo, io sono), distaccandosi da ogni etichetta.

Rocío Molina è una danzatrice e coreografa capace di portare il corpo oltre il suo limite, sperimenta il “pensare-in-movimento”, nel quale emergono tradizioni, esperienze stratificate. La sua danza dona allo sguardo l’hic et nunc di una ritualità performativa che mette radici nello sradicare certezze, quel terreno instabile in cui è la “body knowledge” (consapevolezza corporea) a dirigere il movimento, non solo codici precostituiti.

Molina si forma al Real Conservatorio di Danza di Malaga. A ventisei anni il Ministero della Cultura spagnolo le conferisce il Premio Nacional de Danza per il suo approccio innovativo al flamenco. Riesce vincitrice di tre Premi Max De las Artes Escénicas, dell’UK National Dance Award 2019 come migliore danzatrice contemporanea, ma non sono le lodi a definirla. Molina afferma che un premio può essere casuale, un applauso temporaneo, i dolenti calli ai piedi però sempre veri. Neppure un dibattito fra tradizione e innovazione del genere permette di comprenderne l’arte: è attraverso un discorso mediale sul corpo che si entra nella sua pratica.

Rocío Molina, e la sua voglia di proporre il flamenco come performance

Rocío Molina sperimenta infatti una fisicità che si nutre dello spazio abitato: dal 2010 nasce il progetto Impulsos, prove aperte a contatto con il pubblico, uno scambio esperienziale con artisti invitati. Nell’impulso il corpo si fa medium, il flusso scorre incostante, appare il virtuosismo ma anche ciò che non funziona. Un’idea non del tutto innovativa, definita all’avanguardia, se non fosse che questa è già passata, non veramente flamenca per gli addetti ai lavori, ma forse più tradizionale di molti nella sua voglia di proporre il flamenco come performance, rito che dall’ individuo arriva alla collettività.

Un “corpo politico” quello di Molina, che in Grito Pelao (2018) interroga poi il suo desiderio di essere madre solitaria, donna e artista: decide così di sottoporsi ad inseminazione artificiale, lasciando scorrere nel suo corpo un doppio processo e modificando la danza in scena attraverso la vita che cresce nel suo corpo d’arte. In Caída del Cielo (2017) sperimenta il flamenco come espressione libera, viaggio di una donna dall’equilibrio alla caduta, forme estreme, materiali e costumi usati come protesi, “empowerment” (potenziamento) emozionale. 

È attraverso la Trilogía sobre la Guitarra, presentata come estratto nella XXI Bienal de Flamenco de Sevilla (2020), che Molina desidera la quiete, è ormai madre, dopo la “creazione” cerca la dolcezza del gesto e dell’immagine. Le sue mani si muovono come antenne, il suo zapateado è contenuto, mossa da un gioco spaziale armonico, in cui il suono della chitarra regna sovrano e fa vibrare il corpo. Se il fatto teatrale si esplica in una moltitudine di interazioni, Molina percorre quella tradizione dell’uomo che permette l’identificazione del sé in una relazione contrappuntistica con l’altro, oltre ogni forma precostituita. Il flamenco di oggi muta attraverso l’esperienza della materia corpo, a partire dalle identità stratificate dei suoi artisti.

Virginia Veltri

                             

Vincitrice del Concorso Dance Rewrite 2021 per la sezione “Artista contemporaneo vivente dal secondo Novecento in poi”

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