cristina saso foto

 

Madre svedese, padre romano ma di origine siciliane.” Un bel miscuglio!”…. Col sorriso sulle labbra, l’allegria contagiosa e il fascino di una donna che mette perennemente il cuore prima di ogni altra cosa, Cristina Saso si presenta così. Lady Capuleti in Romeo e Giulietta e la Regina madre ne Il Lago dei cigni– entrambi nella versione coreografica di Patrice Bart- sono gli ultimi ruoli che ha interpretato da protagonista. Nonostante la qualifica di ‘aggiunta’ del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma la sua carriera ha spaziato in lungo e in largo con tante soddisfazioni senza tralasciare la sua vita privata: un marito e un figlio di quattro anni. Intelligente, entusiasta, passionale, quando parla è un fiume in piena e, a pochi minuti dall’apertura del sipario, nessun tipo di ansia le impedisce di parlarmi amabilmente del suo percorso, della sua storia.

Com’è entrata la danza nella sua vita?

Andai a vedere un balletto all’Opera di Roma con mia madre, appassionata di arte e di musica, lì mi innamorai della danza e le chiesi di iscrivermi ad una scuola. La danza ha una disciplina che, diversamente dallo sport, nasconde dietro gli esercizi alla sbarra un altro mondo, affascinante. Dopo un periodo al Balletto di Roma, partecipai al concorso “Isola di Capri” dove arrivai terza. In commissione c’era Carla Fracci, che mi disse :”Secondo me dovresti studiare bene, hai le attitudini per intraprendere questo mestiere.” A quattordici anni convinsi mia madre ad andare a studiare all’estero, prima a Montecarlo da Marika Besobrasova con una borsa di studio, poi a Monaco di Baviera alla Heinz Bosl Stiftung Academy, conquistata da uno stile diverso da quello dell’Opéra di Parigi che non mi ha mai attirato più di tanto. Poi sono arrivati gli anni difficili, mi sentivo spaesata. Mi è sempre mancata una guida nella mia carriera, anche se in tanti hanno puntato su di me al momento di andare in scena, nella distribuzione dei ruoli. Ancora oggi sono ‘aggiunta’ anche se ho interpretato ruoli principali, devo molto a Carla Fracci che mi ha sempre dato spazio, sotto la sua direzione ho ballato tantissimo, principalmente nelle produzioni neoclassiche.

Che cosa guarda in un danzatore?

Solo ed esclusivamente la presenza scenica. Non giudico mai un danzatore in sala prove ma lo guardo in scena, non mi interessa quanto gira , quanto alza le gambe, quante doti ha, mi interessano la qualità e la pulizia. Secondo me la danza è ‘tra’ i passi, intendo dire che è nel gesto, in una camminata, le estremità devono essere coordinate, non necessariamente serve un bel collo del piede. Questa scelta ha caratterizzato il mio lavoro, forse a discapito della tecnica, sono diventata un po’ troppo perfezionista. Preferisco un ballerino che fa meno tecnicamente ma con molta cura dei dettagli ad un danzatore eccelso nel virtuosismo che però tralascia tutto il resto.

Che cos’è il talento?

Prima di tutto o si ha o non si ha. Secondo me è la capacità di regalare sensazioni, cosa che oggi manca. Ce n’è tantissimo nella bravura tecnica  ma l’artista deve emozionare il pubblico, deve farlo sognare soprattutto oggi che c’è un individualismo pazzesco, siamo tutti inariditi.. Lo spettatore non può eseguire cinque giri seduto in platea ma può vivere un’emozione guardando lo spettacolo. Quelli della mia generazione hanno cominciato così a studiare danza, poi si è perso il valore dell’espressività. La tecnica non è tutto. Oggi purtroppo si sceglie questo lavoro per farsi notare.

Che cosa le piace e che cosa non sopporta del mondo della danza?

Mi piace il palcoscenico, la musica, il fondersi col gesto; non sopporto l’assenza di anima nella danza di questi tempi, siamo in pochi a guardarci negli occhi e a capire che la danza non è un’accozzaglia di passi, in quel caso si parla di ginnastica artistica e in realtà le migliori ginnaste sono brave cento volte di più dei ballerini di grande tecnica, ma la danza è arte. Riassumendo, mi piace l’arte, non mi piace che non le si dia più valore, che non sia più necessaria. Invece lo è terribilmente.

E’ ambiziosa?

Non lo sono mai stata, tanto meno adesso che l’età incombe… e neanche competitiva, purtroppo ci sono momenti in cui lo devi essere anche se non fa parte della tua natura.

Che cosa la emoziona?

I sentimenti forti, gli aspetti giocosi della vita non mi coinvolgono più di tanto.

Che cosa è cambiato nel mondo della danza, secondo lei?

Tutto, prima si ballava per esprimersi, per comunicare, ora per mettersi in mostra, per primeggiare. Bisognerebbe ritrovare il piacere di raccontare una storia, ed interpretarla comunicando emozioni, questa è la danza.

Quali sono i suoi miti, se ne ha?

Marcia Haydée, Carla Fracci, Margareth Illmann, Larissa Lezhnina.

Che cos’è la danza per lei?

Dare un’ immagine, un gesto alla musica, parlare senza poterlo fare quindi attraverso il corpo ma soprattutto le braccia. La danza è un attimo di eternità, uno spazio nel tempo in cui tutto si ferma. Non è dimostrare, ma essere e per questo c’è solo il talento, artistico e musicale. Quello tecnico c’è eccome, ma viene dopo. La storia della danza ci ha dimostrato l’esistenza di ballerini che ci hanno emozionato con una camminata. Ai giovani consiglierei di curare i dettagli, di puntare sulla qualità di movimento, sulle estremità: braccia, piedi e testa. In un corpo di ballo è la prima cosa che si nota e per ballare ruoli solistici e da prima ballerina è necessario avere questa cura.

Elisabetta Testa

 

 

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