Campadidanza Magazine ha lanciato quest’anno la prima edizione di “DANCE REWRITE – Bando di giornalismo e ricerca per Under 35”. Un bando rivolto a coreografi, danzatori, performer ed insegnanti di danza, così come studenti, ricercatori, operatori sociali, docenti e a chiunque volesse contribuire ad una nuova e diversa visione della danza.

Ai partecipanti abbiamo chiesto di scrivere un articolo scegliendo fra tre ambiti: attualità “Come cambiare la danza con l’emergenza COVID-19; nuove prospettive di Didattica e Metodologia della danza; rilettura critica di un/una artista della danza del ‘900. In tanti hanno risposto e, alla fine, una giuria di esperti composta da Roberta Albano, Alessandro Toppi, Lorenzo Tozzi e Raffaella Tramontano ha scelto i vincitori. Da oggi pubblichiamo, uno al giorno, gli articoli che sono arrivati primi nelle varie categorie.

Buona lettura a tutti!

Lockdown, l’opportunità di trasformare il limite in risorsa

Il 31 gennaio 2020, il Governo Italiano dichiara lo Stato d’Emergenza Epidemiologica Covid-19. Il Consiglio dei Ministri vara il primo decreto legge il 23 febbraio del 2020, cui fa seguito una serie di decreti attuativi nei giorni seguenti, tra cui il Dpcm 9 marzo 2020 #Iorestoacasa e il Dpcm 11 marzo 2020, che chiude le attività commerciali non di prima necessità.

Fra le misure adottate, l’ordinanza 2 marzo 2020 vieta a tutte le persone fisiche di spostarsi, con mezzi pubblici o privati, da un comune diverso da quello in cui si trovano, salvo comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza o per motivi di salute[1]. Da questo momento, il quotidiano fluire della vita sociale e lavorativa di milioni di persone subisce una brusca interruzione. Le città si svuotano, silenziose, nel fiorire di una calda primavera che passa quasi inosservata.

Il suono delle sirene e quello dei tamburelli sui balconi

La densità della vita vissuta in questo periodo di tempo è di ardua definizione. L’evidenza delle sue contraddizioni, insieme contestuali ed esistenziali, ha avuto il potere di interrogare e smuovere – talora profondamente – la mente e la coscienza delle persone.

Al suono delle sirene di ambulanze che hanno attraversato veloci le strade di molte città, portando con sé sofferenza, paura e dolore, hanno fatto eco – come a voler risanare i cuori – i suoni di tamburelli e chitarre, canzoni intonate dai balconi e un invisibile tessuto connettivo di artisti e terapeuti che non hanno lasciato andare i propri allievi e utenti, garantendo loro presenza e continuità nella “rottura”, reinventando se stessi e il proprio lavoro per mantenere e creare nuove connessioni, in questo gioco di prossimità nella distanza reso possibile dalle varie piattaforme virtuali.

Si aprono nuovi scenari

Nella difficoltà di dare voce a un vissuto complesso, il lessico della danza- insieme a quello dell’antropologia –, possono rappresentare un valido contributo all’ elaborazione di questa esperienza e, chissà, alla formulazione di nuovi scenari possibili.

Nei giorni di lockdown, la maggior parte delle persone ha vissuto, forse per la prima volta, una forte condizione di limite, imposto da circostanze e poteri esterni a sé. Limite esperito soprattutto in termini di riduzione del proprio spazio vissuto, del campo d’azione e di relazione, in cui l’alternanza fra un dentro e un fuori non solo ha assunto forme, dinamiche e proporzioni diverse, ma ha rimodulato l’esperienza stessa dello spazio-tempo, assottigliando la percezione del confine della nostra propria pelle.

Siamo stati svuotati dalla dimensione del fare

Svuotato dalla dimensione del fare, lo spazio-tempo ha restituito un rinnovato senso al sentire “il” e “del” corpo, ancora così spesso dimenticato. In termini antropologici, infatti, non solo l’essere umano ha un corpo, ma è corpo: è corpo pensante e senziente, la cui conoscenza ed esperienza sono incorporate, ovvero passano attraverso la presenza e la relazione con l’ambiente circostante.(Pizza 2005:29)

Passando la parola alla danza: ” La chinesfera, il confine dinamico del corpo vissuto, si muove abitando uno spazio abitato e rendendolo mondo. (…) Si espande, si struttura, prende forma in uno spazio relazionale e condiviso: nasce dal movimento teso a raggiungere l’altro (…). Anche nel movimento più solitario, sul confine della chine sfera c’è sempre un altro immaginario”. (Bellia 2007:176).

Tornare al corpo esplorando lo spazio quotidiano

In questi giorni vissuti fra le mura domestiche, la danza, la musica, la creatività, hanno dato l’opportunità di trasformare il limite in una risorsa, in una possibilità di esplorazione di sé e di nuovi modi per incontrare l’altro.

Nella repentina immersione in una realtà virtuale, fatta di schermi di computer, televisioni e telefonini, il potere della danza, degli incontri e delle lezioni via remoto, è stato quello di dare la possibilità, al singolo, di “tornare al corpo”, a se stesso, trovando nuovi modi di esplorare lo spazio quotidiano, in modo creativo e in movimento, dando forma ad una relazione sì vissuta nella solitudine del corpo, ma nella tensione verso l’altro, presente nel proprio spazio vissuto, ma con il medesimo desiderio di contatto.

La funzione sociale della danza

Pertanto, anche in questo frangente, la danza ha dato prova della sua radicale funzione sociale, ovvero quella di creare molteplici connessioni, interne ed esterne, rappresentando quel “luogo”, anche virtuale, entro il quale dare espressione e forma ai propri contenuti emotivi. In un momento storico in cui il discorso medico sulla salute si è reso dominante, prescrivendo pratiche di igiene e di comportamento sociale, è importante ricordare che è proprio il corpo ad esserne coinvolto, dunque l’essere umano nella sua totalità percettiva ed emozionale, investendo l’intimità e vissuti personali.

L’attesa di ritornare all’incontro e al contatto

Come cambiare la danza con il Covid-19? Forse non è necessario cambiarla. Forse è necessario darle spazio, anche in senso fisico, riscoprendo parchi, piazze e strade, luoghi aperti, in cui gli insostituibili incontri fra corpi possano riscoprire il contattato, anche nella distanza, di una presenza, così riconoscendo alla danza la funzione che le è antropologicamente propria: quella di essere esperienza di relazione, riconoscimento e ricerca di sé e dell’altro, nonché pratica di dialogo e cura, costruttrice di ponti e di mondi possibili.

Claudia Esposito



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