Conte e Macron durante un incontro.
Il premier italiano Conte e il premier francese Macron durante un incontro.

Arte, cultura e politica. In tempi di pandemia, intorno a questo trinomio girano futuro e abitudini di tantissime persone. Ci sono i “protagonisti”, il motore oggi spento del settore. Ci sono i “fruitori”, quelli che salgono in sella e godono delle potenzialità attualmente inespresse della “macchina”. Infine ci sono quelli che dovrebbero mettere protagonisti e fruitori nelle condizioni giuste per far sì che tutto proceda bene. Allora si provi a volgere lo sguardo poco oltre i nostri confini: occhio ai nostri cugini francesi.

L’Italia e la Francia

Gli artisti francesi sono sempre stati un po’ “invidiati”. L’impostazione reddituale francese rende gli artisti lavoratori. Li mette nelle condizioni di sentirsi tali. Il modello intermittent du spectacle, presente anche in altri paesi d’Europa, potrebbe essere considerato il sogno proibito degli artisti italiani. La strada verso un tal “privilegio” però appare ardua e faticosa. Non basterebbe emularne il modello, ma bisognerebbe studiarne il collocamento in un discorso di natura macroeconomica. L’Italia non è la Francia e ci sono tante cose che andrebbero probabilmente studiate, cambiate, riviste e organizzate affinché si possa esaudire il desiderio degli artisti italiani di avere una struttura reddituale simile. Ma non è questo il punto cruciale di questo discorso.

Una questione di “stile

Premessa: non si intende in alcun modo commentare decreti, leggi, iniziative e qualsiasi altra cosa fatta o non dal governo italiano a favore del comparto cultura. Si intende porre l’attenzione su una cosa invece: lo “stile”. Il premier Conte e il ministro Franceschini hanno preso la parola tante volte in questi mesi di lockdown. Troppe poche volte si è sentita la parola “cultura” pronunciata con criterio. Troppe poche volte a questa parola è seguita la presentazione di un progetto, piuttosto di un’idea. Mai si è avuta la sensazione che il governo punti sul settore non solo per sostenerlo, ma anche per coinvolgerlo in prima linea nei programmi di ripartenza. Nell’ultima conferenza, quella di presentazione del Decreto Rilancio, addirittura sono presentati come oggetto del “divertire”. Qualcuno si è offeso per questo, qualcun altro lusingato. Che il premier possa essere incappato in uno scivolone con questa dichiarazione, è a libera interpretazione del singolo. Ciò che rimane, universalmente, è la riflessione sullo “stile”. Accanto al premier, si sono accomodati diversi ministri, non quello della cultura. La Francia invece, ci regala l’immagine di un capo politico che, dopo un assiduo confronto con gli artisti, annuncia un maxi piano. Il ministro della cultura, accanto a lui, prende appunti. Si prepara a realizzare ciò che sta sentendo.

L’appello di Macron

Anno bianco e proroga del diritto di disoccupazione fino ad Agosto 2021 in cambio della loro creatività e inventiva. Progetti parascolastici, campi estivi, reinventare le cose che non funzionavano più, inventarne delle nuove. Arrivare ad una vera rifondazione dell’ambizione culturale per il Paese . L’appello agli artisti di Macron è impetuoso. Per un settore dilaniato dall’emergenza e dalla preoccupazioni che ne derivano, l’annuncio delle misure di prossima realizzazione per sostenere il settore e rilanciare il paese a partire da questo, suona come un cantico di gioia. Ma anche stavolta, non è questo il punto cruciale del discorso.

La riflessione

Ritorniamo allo stile, politico e comunicativo. L’educazione artistica e culturale non è argomento d’interesse solo del trinomio arte, cultura e politica suesposto. O meglio, non dovrebbe. Ma è assolutamente interesse di massa, di tutti. O meglio, dovrebbe. In una società di stampo consumistico, vorremmo che l’arte e la cultura fossero il maggior bene di consumo. Ma non succede perché manca la “cultura della cultura” e dovrebbe essere incentivata dalle istituzioni secondo responsabilità educativa, ad oggi una sconosciuta.

Per intenderci

Un premier che si presenta in videoconferenza con il proprio ministro per parlare solo del settore cultura, elogiarlo e consegnargli le chiavi della ripartenza, equivale a incentivare gli “altri” a ripensarsi in questa ottica. Significa ideologicamente, praticamente e educativamente, andare a cercare anche i pubblici solitamente dimenticati dal mondo della cultura, direbbe Macron. Aggiungerei, invitarli in prima persona. E’ un segnale forte ad una popolazione intera: esistono gli artisti e da loro si riparte. Invece un premier che menziona la cultura con uno sterile e diplomatico messaggio di sostegno e vicinanza collocato tra i “titoli di coda” di un discorso più ampio e diversificato, non restituisce pubblicamente agli artisti una buona immagine. Non li colloca al centro di un piano di ripartenza nazionale. Non li legittima come lavoratori al pari degli altri. Inoltre, quando chiede loro di aspettare, di tenere duro o avere pazienza, peggiora ancor di più la situazione. Significa ideologicamente, praticamente e educativamente, negare/omettere il ruolo sociale che arte e cultura potrebbero/dovrebbero ricoprire di questi tempi. Quando poi deleghi loro un ruolo “solo” ludico, il messaggio che arriva al popolo è devastante. Significa dire che viviamo ancora il tempo dei giullari di corte. E si sa che in guerra e in pandemia, a corte non si fanno feste. E senza festa, i giullari non servono.

Quindi state lì buoni e prendete quello vi spetta. Vi faremo sapere!

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Danzatore, docente di danza e chinesiologo. Opera come performer e giovane autore in Borderline Danza di Claudio Malangone e collabora come danza-educatore con enti e associazioni. Attivo nel campo della ricerca pedagogico-didattica, porta avanti un'indagine sui vantaggi della danza come dispositivo di adattamento cognitivo e sociale.