La Comunità Ellenica di Napoli e Campania in collaborazione con l’associazione culturale FuoriLuogo e la scuola di ballo Napoli City Ballet, organizza il primo corso-laboratorio di danze popolari greche.

Il corso si articola in un ciclo di otto lezioni, tenuto da Marianna Kyriakoudi con le musiche dal vivo di Dimitris Kotsiouros, al bouzouki, e di Luca Cioffi, al darbuka, musicisti dell’ensemble italo-ellenica di musica rebetica Evì Evàn, e prevede l’insegnamento delle danze più diffuse come il Hasapiko, lo Zeibekiko, il Karsilamas, l’Aptaliko, il Serviko e il Sirtos.

Ogni lezione è strutturata come un incontro nella taverna, sorseggiando caffè, bevendo ouzo e ascoltando le storie sull’origine dei balli che intrecciano le culture balcanica, turca, ebraica e greca. Il corso si articola in 8 lezioni (di cui l’ultima sarà il saggio finale) di 80 minuti e si svolge ogni martedì a palazzo Cirella nella scuola di Napoli City Ballet, via Toledo n.228.

La musica e le danze rebetike ci riportano alla prima metà del secolo scorso, in un’epoca in cui la povertà e la fatica di vivere si vincevano cantando, ballando e stando insieme. Il rebetiko è una musica mistikì, nascosta, alternativa rispetto alla globalizzazione delle proposte contemporanee. Racconta storie vere di amore maledetto, disavventure della vita, passione per danza, vino e narghilè che trovano espressione in musiche dove i ritmi dell’allegria si alternano alle melodie melanconiche. Un percorso che si snoda fra Istanbul e Atene, Smirne e Salonicco,fondendo insieme sonorità orientali, balcaniche, ebraiche.

Spesso definito come il blues ellenico, il rebetiko è musica di porto e di periferie, di taverne, emarginazione e ribellione alle regole. E’ un lamento per una perdita, ma soprattutto una sfida alle convenzioni. L’epoca eroica del rebetiko va dal 1920 al 1940 quando musica e versi erano opera di artisti autodidatti che suonavano qualsiasi pezzo a memoria, senza saper leggere le note. Negli anni Cinquanta, poi, anche il rebetiko, come il jazz in America, fu scoperto dalla borghesia di Atene che amava scendere nei bassifondi della città. E sempre come il jazz, che si afferma fin da subito come una sintesi tra diverse culture musicali europee e africane, il rebetiko è una musica splendidamente contaminata dall’humus ottomano, dai francesismi, dal veneziano, dai ritmi balcanici, “sul crinale fra Occidente e Oriente, europea e anatolica”, come ha scritto Moni Ovadia nella presentazione del disco Rebetiki diadromì degli Evì Evàn. E´ il “virus di una grecità eccentrica” che ha trascinato con sé ogni tipo di cultura esule e meticcia così come il jazz ha incorporato nel suo linguaggio il ragtime, il blues, la musica leggera e quella colta mescolandosi con tutti i generi musicali anche non statunitensi, come il samba, la musica caraibica e il rock, evolvendosi in una gran varietà di stili e sottogeneri. 

“Considero queste canzoni altrettanto belle, altrettanto profonde ed emozionanti dei più bei blues con i quali presentano d’altronde così tante somiglianze. L’unica, la sola grande differenza, è che le origini del blues sono rurali mentre il rebetiko da sempre è stato la musica della città”, ha scritto Jacques Lacarrière, grande studioso della grecità, vincitore del Grand Prix de l’Académie française. “I principali compositori popolari greci dei rebetika – Tsitsanis, Vamvakàris, Daskalàkis, Mitsàkis, Papaioaànnu, Mathesis, Bàtis – sono sullo stesso livello dei più grandi compositori blues come Armstrong, Fals Waller e Sidney Bechet”.

 Come il blues, anche il rebetiko è una musica che nasce dal cuore e la sua arteria passa per ilbouzouki. Uno strumento a manico lungo appartenente alla famiglia dei liuti che fu proibito, perché considerato troppo turco, durante la dittatura di Metaxas, il militare che voleva occidentalizzare per paradosso proprio la terra che ha dato origine alla cultura occidentale. E oggi che la dittatura dei mercati finanziari vorrebbe escludere la Grecia dal resto dell’ “Occidente virtuoso”, il bouzouki e il rebetiko sono tornati ad essere percepiti come la cultura identitaria di un popolo che, anche attraverso la musica, ha imparato la resistenza alle crisi.

La band ellenico italiana Evì Eván, con base a Roma e ad Atene, è considerata il “riferimento del rebetiko nel nostro Paese” (da “Internazionale”, maggio 2012). È composta da sei musicisti, Dimitris Kotsiouros (bouzouki, baglamas, tzouras, oud), Georgios Strimpakos (canto, baglamas, tzouras), Daniele Ercoli (contrabbasso, cori), Emiliano Maiorani (chitarra), Francesca Palombo (fisarmonica, canto), Luca Cioffi (percussioni, darbuka), che singolarmente o insieme hanno collaborato con Moni Ovadia, Vinicio Capossela, Daniele Sepe, Giorgio Tirabassi, Nour Eddine Fatty e altri artisti. Degli spettacoli della band si sono occupati anche Il Corriere della Sera, Il Corriere del Mezzogiorno, La Repubblica, Il Fatto quotidiano, Internazionale, Il Resto del Carlino, Rai Radio 2, Radio Popolare, Radio Città futura, AnsaMed, Radio Onda rossa, Mutinity radio San Francisco, Rai Mediterraneo, Rai3, La7.
La band ha prodotto tre album: “Rebetiko” (2008), “Fuori Luogo” (2011), “Rebetiki Diadromì – 
Itinerario Rebetiko” (2014).
Nell’ultimo album hanno partecipato anche Vinicio Capossela, Daniele Sepe, Moni Ovadia, Sopfia Labropolou e Nikos Nikolopoulos. Gli Evì Evàn hanno lavorato con Moni Ovadia e Antun Blazevitc negli spettacoli teatrali “Progetto Odissea” e “Lo zingaro felice”.
Invitati a numerosi festival, negli ultimi due anni hanno partecipato anche all’inaugurazione del Festival Letteratura alla Basilica di Massenzio di Roma, 2013; al Festival Adriatico di Ancona 2013; al Festival Il libro possibile a Polignano a Mare 2013; al Festival della Letteratura di Viaggio di Roma 2013; al Festival del cinema documentario Sguardi sul reale 2014; alla Primavera musicale all’Auditorium di Roma 2014; al Festival Etnico di Civitavecchia 2014; al Festival Di Voci e di Suoni a Palazzo Farnese di Caprarola 2014; al Festival “MythosLogos” a Lerici 2014; al Festival “Mediterraneo insieme” di Nardò Lecce 2014.

In un pomeriggio domenicale freddo e serenissimo raggiungo al telefono Dimitris Kotsiouros per chiedergli di scortarmi, traghettatore gentile, in un breve viaggio nelle viscere di questa tradizione musicale e di danza popolare che ha origini antichissime sparse ad Est dell’Europa e che pesca avidamente dai moti profondi dell’anima.

Cosa ti lega a Napoli?
Ho un fortissimo legame con Napoli. Sono qui dal 1992. Porto con me venti lunghissimi anni di permanenza e il ricordo di un’esperienza ricca e molto bella, nel corso della quale ho avuto modo di conoscere e apprezzare la tradizione musicale napoletana. Ciò che mi ha colpito di quest’ultima è stata in particolare la vicinanza di spirito dei suoi testi a quelli del rebetiko, parole provenienti dall’anima, i disagi, le difficoltà, le gioie, e l’ambiente urbano in cui si sono sviluppati (comune tra l’altro a molta musica popolare).
Il rebetiko ha poi una sua nota distintiva, siccome nasce in contesti urbani di degrado, di strada, nelle bettole. In più, le persone che hanno alimentato la tradizione musicale e vocale del rebetiko sono tutte persone comuni, macellai e altri lavoratori; solo in un periodo successivo si è sviluppata una sorta di “classicità” del genere. Nel rebetiko non esistono veri e propri cantautori, è una tradizione che discende diretta dal popolo, dalla memoria, dall’oralità, e quindi da una forma di anonimato.

Cosa significa accompagnare una danza nel rebetiko?
Prima di tutto va detto che non esiste una sola danza per il rebetiko. In Grecia ci sono tante danze quanti sono i dialetti, e le influenze sono molto variegate, sia dall’Occidente che dall’Oriente. La danza che maggiormente si è affermata come accompagnatrice della musica e del canto rebetiko è una danza solitaria (come recita d’altra parte Vinicio Capossela nel suo diario “Tefteri”,
ndr), principalmente di origine orientale, si sviluppa nella forma del cerchio e narra un racconto, esattamente come fa la parte vocale. Esistono forme di danza più collettive legate al rebetiko, in particolare il hasapiko, che è una danza antichissima, del XV sec d.C., nata all’interno della corporazione del macellai del popolo albanese e detta per questo anche “ballo dei macellai”, o “ballo degli amici”, siccome viene eseguita tra persone legate da rapporti intimi. Questa danza, per il suo carattere personale, tra l’altro può avere il culmine in un duello. Una danza più aperta e che si esegue in gruppi è invece di influenza balcanica, l’hasaposerviko. Ma mi fermo qui, la storia delle danze greche è veramente lunghissima…

 

Cosa è per te la danza?
La danza è liberazione. Ti faccio un esempio. Spesso all’interno dei nostri concerti ad un certo punto dello spettacolo una parte dei musicisti (e io tra loro) proseguendo la musica inizia a danzare. In quel momento lì credo si raggiunga l’espressione totale, e questo avviene attraverso la danza, per l’appunto, vera e propria valvola di liberazione dell’anima.

Corso di Danze Rebetiko – manifesto


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