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Edmondo Tucci: “Investire in cultura significa educare un popolo”

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Edmondo Tucci
Edmondo Tucci, primo ballerino e coreografo contemporaneo del Teatro di San Carlo

NAPOLI – Abbiamo incontrato Edmondo Tucci, primo ballerino del corpo di ballo del Teatro di San Carlo e coreografo di danza contemporanea. Un ballerino di razza che ha costruito la sua professionalità nel Massimo napoletano, interpretando ruoli differenti nell’arco di un’intensa carriera, spaziando da balletti classici a quelli neoclassici.

Da sempre attratto dalla danza contemporanea, nel corso della sua formazione si è perfezionato in America, ma ha deciso di tornare in Italia per rispondere al richiamo della nostra cultura. Ed è proprio di questo che vogliamo parlare con lui: l’importanza, troppo spesso sottovalutata, del nostro retaggio.

Quale situazione vivono oggi i corpi di ballo in Italia?

La situazione non è positiva. Questo dipende soprattutto da problemi strutturali, politiche economiche, culturali e sociali, che hanno avuto origine più di venti anni fa. Si può dire che questa crisi della danza rientra in una più ampia crisi culturale poiché se noi analizziamo anche la situazione delle arti visive, dei musei, della musica emerge una comune penuria di fondi: fondi statali, regionali e comunali. Ciò dipende dal fatto che, con il passaggio delle responsabilità agli enti locali, sono venute meno tantissime istituzioni: le Regioni e i Comuni non hanno potere economico, finanziario e sociale sufficiente a portare avanti dei discorsi artistici validi. Le Fondazioni lirico-sinfoniche in Italia sono delle istituzioni, sono dei punti di riferimento culturale importantissimi per l’Italia stessa; non dimentichiamoci che in Italia nasce il melodramma, nasce la lirica.

Nasce anche la danza, nel Quattrocento.

Nasce anche la danza, però dobbiamo fare un distinguo su questo: l’Italia è considerato comunque il paese del bel canto, sia da parte delle istituzioni italiane che da parte della politica italiana e se c’è da aiutare le Fondazioni liriche si pensa subito, e non dico soltanto, alla lirica. Questo perché l’Italia è ritenuta, dagli italiani stessi e soprattutto dal resto del mondo, come la patria del bel canto e non tanto come la patria della danza. È sicuramente vero che la danza in Italia ha origini storiche importantissime, basta pensare allo stile italiano, lo stile Cecchetti, ma questo non cambia il fatto che le Fondazioni vengano viste principalmente per la lirica.

Anche noi ballerini quando veniamo scritturati in pianta stabile, siamo considerati come tersicorei lirici, cioè prima di tutto al servizio dell’opera lirica. Questo perché nell’Ottocento, ma anche nel Settecento, le opere liriche venivano scritte prima di tutto per il canto e per la musica. Anche Giuseppe Verdi ha destinato una fetta importantissima di musica alla danza nelle sue opere maggiori, come ad esempio il ballo in maschera ne La traviata.

In effetti la danza fungeva da intermezzo nel melodramma.

Erano intermezzi veri e propri. La danza nel teatro lirico nasce a servizio principalmente dell’opera. Il tersicoreo viene visto soprattutto come tersicoreo per l’opera; poi dopo, chiaramente con i grandi coreografi dell’Ottocento, con Petipa c’è stata un’evoluzione della danza.

Ed è diventata uno spettacolo a se stante.

Venendo ai giorni nostri, il problema della crisi culturale ha coinvolto tantissimo la danza perché la danza è sistemata sempre all’ultimo posto nella graduatoria dello spettacolo dal vivo. Lirica, prosa, musica e poi danza. E quindi, quando si deve tagliare si comincia sempre dal basso.

A tal proposito, cosa ne pensa della chiusura del corpo di ballo dell’Arena di Verona?

A Verona si è chiuso per problemi politici. Non c’era una necessità vera di chiudere un corpo di ballo. Se promuovi bene uno spettacolo di danza di qualità, o un evento legato alla danza di qualità, il pubblico arriva.

Quindi, secondo lei, per avvicinare maggior pubblico, possono essere d’aiuto eventi in cui si racconta la danza, come la conferenza organizzata alla “Federico II” per L’Ultimo Decamerone, lo spettacolo che lei ha coreografato?

Assolutamente si. La danza è cultura come lo sono la musica, la lirica, la letteratura. C’è tanto da dire sulla storia della danza e del balletto, ci sono tanti artisti che si sono avvicendati alla costruzione dei balletti. E non parlo solo di coreografi, io parlo anche di artisti che hanno firmato le scenografie: Picasso, Dali, esempi di gran prestigio.

L’Arlésienne di Roland Petit, che io stesso ho danzato, fa riferimento ad un periodo storico preciso, i primi Novecento, con richiami precisi all’arte e a Van Gogh.

Parlando di danza contemporanea, quanta sperimentazione c’è oggi nel contemporaneo e dove si colloca in Italia?

Per quanto riguarda il contemporaneo, in Italia c’è tanta sperimentazione, soprattutto a Napoli; io stesso ho fatto spesso sperimentazione con i ballerini del San Carlo, anche in luoghi non istituzionali.

Ci sono dei luoghi in Italia dove si è fatta tanta sperimentazione e ancora oggi se ne fa altrettanto: la Toscana e l’Emilia-Romagna. Inutile dire che l’Aterballetto di Mauro Bigonzetti, con cui ho collaborato spesso, nasce a Regio Emilia. Altro esempio, negli anni Novanta nasce, nella stessa regione, il Balletto di Toscana che è stata una realtà importantissima della danza contemporanea in Italia; qui si sono formati degli famosi coreografi italiani come Fabrizio Monteverde e lo stesso Mauro Bigonzetti. Oggi, l’Aterballetto resta comunque un punto di riferimento per quanto riguarda il contemporaneo; ma purtroppo molte compagnie private, che facevano tanta sperimentazione, sono sparite e molte altre navigano in cattive acque perché se la Fondazione lirica non ha fondi, ancor meno ne hanno le compagnie.

Di contro, bisogna dire anche una cosa positiva: in Campania, il Napoli Teatro Festival è in controtendenza, grazie comunque allo sforzo immenso della Regione Campania. C’è quindi una bellissima realtà in Campania col Napoli Teatro Festival e spero che l’anno prossimo possa fare cose anche migliori.

È vero, il Napoli Teatro Festival offre spettacoli di danza, ma sono ancora relativamente pochi, purtroppo, speriamo che in futuro aumentino. Quali sono le cause di questa offerta ridotta?

Sono pochi si, però ciò dipende anche dal fatto che, secondo me, l’organizzazione della danza in Campania è affidata a persone prive di esperienza nell’ambito della danza, ma che magari hanno un background politico e ciò non necessariamente si sposa con la necessità evidente di creare interesse verso una materia culturale. Spesso mi domando come mai i festival musicali, che sono importantissimi in Italia e che sicuramente hanno anche loro delle difficoltà, vengano affidati a persone con un’esperienza decennale in campo musicale, musicisti, direttori d’orchestra, mentre invece all’interno del festival di Ravello, per esempio, la direzione artistica della sezione danza non è mai stata affidata ad una persona con competenze specifiche per l’arte tersicorea.

E, invece, che conseguenze ha l’assenza di una normativa relativa unicamente al settore danza?

Questo è un grande problema: in Italia non c’è una regolamentazione per quanto riguarda l’insegnamento della danza, non esiste un vero e proprio diploma né un’abilitazione, a differenza della Francia dove, ad esempio, puoi insegnare soltanto se sei abilitato dall’Accademia Nazionale di Francia.

In effetti, noi in Italia abbiamo l’Accademia Nazionale a Roma.

Si, ma non esiste una legge. L’Accademia Nazionale a Roma ha cercato e cerca in tutti i modi di creare un diploma di laurea, che non è comunque riconosciuto in Italia perché non c’è una regolamentazione.

Questo vuoto legislativo è in forte contrasto con l’elevato numero di ragazzi che studiano danza e, soprattutto, non tiene conto del ridotto numero di posti di lavoro disponibili per i tersicorei in Italia. Il paradosso aumenta se ci confrontiamo con l’Europa: la Germania ha cinquanta corpi di ballo stabili e la Francia e ne ha novanta; dunque è chiaro che più teatri ci sono più possibilità c’è per un tersicoreo di essere assunto.

In Germania anche un paese di provincia ha un teatro con un corpo di ballo, un coro e un’orchestra; è come se noi avessimo in Campania ad Afragola un teatro, ad Arzano un altro teatro, Avellino un teatro con corpo di ballo, Caserta, Benevento … Questa è la realtà all’estero: investire in cultura significa educare un popolo, significa rendere responsabile un’intera nazione, un intero popolo. La cultura è l’unico elemento che può salvare una nazione da vari problemi sociali, dalle tensioni sociali, dalle tensioni politiche. Un cittadino che ha un ventaglio di possibilità culturali a cui poter accedere, ha l’opportunità di crescere come persona, come cittadino, ha l’opportunità di essere una persona migliore. Questo ci rimanda ad un interrogativo: ci vogliono così? Senza considerare, poi, la situazione del meridione.

Che futuro c’è per la danza in Italia?

Io credo che ci sia un futuro positivo: la cultura, secondo i corsi e ricorsi storici, riesce sempre a risorgere. Credo che dopo questo periodo buio ci deve essere necessariamente un risorgimento. E poi, tornando ai numerosi ragazzi e ragazze che studiano danza in scuole private, tutto sommato vuol dire che c’è ancora interesse. Bisogna puntare sui giovani, su questo interesse. Credo ancora che ci possa essere un futuro e il San Carlo è un esempio perché il corpo di ballo del San Carlo esiste, vive ed è in controtendenza rispetto agli altri corpi di ballo. E non dimentichiamoci che siamo al Sud: devo ringraziare la Sovraintendenza che continua a far di tutto per l’esistenza di questo corpo di ballo ed anche Giuseppe Picone, che sta facendo un lavoro meraviglioso con il corpo di ballo e che è stato un elemento di svolta fondamentale.

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