ROMA – È morta a Roma, a 78 anni, Raffaella Carrà. L’annuncio è stato dato nel pomeriggio dal coreografo Sergio Japino, suo compagno d’arte e per lunghissimo tempo di vita. La regina indiscussa della televisione italiana si è spenta dopo aver lottato contro una dolorosa malattia che da qualche tempo l’aveva attaccata e della quale niente aveva voluto lasciar trapelare in pubblico.

Cantante, attrice, conduttrice, showgirl e ballerina, il successo mondiale della Raffa nazionale si è rigenerato attraverso i decenni e le generazioni, dagli anni Settanta fino ad oggi, mantenendo immutato il suo portato simbolico libertario e gioioso.

Aveva studiato all’Accademia Nazionale di Danza

Nata a Bologna nel 1943 e trasferitasi a Roma negli anni Cinquanta (spinta dalla nonna materna Andreina) per studiare all’Accademia Nazionale di Danza prima e al Centro sperimentale di cinematografia poi, la Carrà (all’anagrafe Raffaella Maria Roberta Pelloni) incomincia la sua carriera artistica come attrice prendendo parte a diversi film negli anni Sessanta (tra gli altri, compare ne I compagni di Monicelli nel 1963 e ne Il colonnello Von Ryan di Mark Robson nel 1965 al fianco di Frank Sinatra).

Eppure, la fama non arriva con le pellicole. L’icona Carrà, infatti, nasce in televisione e l’inizio della sua popolarità è indissolubilmente legato alla musica e, soprattutto, alla danza. Un ballo, nello specifico, all’inizio degli anni Settanta, cambia per sempre la storia del costume italiano consegnando la showgirl al mito.

Tutto cominciò nel 1971….

È il 1971. In Italia vivono 53 milioni di persone, di cui la metà donne (nonostante ciò, il 98% dei 1500 parlamentari è composto da uomini). Un caffè costa 70 lire, un litro di benzina 160. La coda del Sessantotto sembra sul punto d’esaurirsi, ma nel paese una nuova onda sta prendendo piede: il movimento femminista. Le statistiche dicono che nelle case della nazione ci sono circa dieci milioni di televisioni e la sera del 27 novembre buona parte di questi apparecchi è sintonizzata sulle frequenze del Programma Nazionale, il primo (ed unico) canale attivo dal 1954, per assistere a Canzonissima ’71.

La censura della televisione

L’ospite d’onore, Alberto Sordi, chiede di poter ballare con Raffaella Carrà sulle note del Tuca Tuca sfidando la censura televisiva. La canzone, scritta da Gianni Boncompagni e Berto Pisano e cantata dalla showgirl, era infatti stata presentata durante la prima puntata del programma il 9 ottobre con una semplice e travolgente coreografia firmata da Don Lurio e danzata dalla Carrà in coppia con Enzo Paolo Turchi ma dopo sole tre puntate l’allora dirigente RAI Giovanni Salvi pretese che il numero non fosse più riproposto. Alla fine della stagione, il brano sarebbe arrivato in cima alle classifiche conquistando un clamoroso successo.

La libertà che passava dai capelli

Eppure, per comprendere a pieno il portato simbolico del Tuca Tuca è necessario fare qualche passo indietro nella biografia artistica della Carrà. Canzonissima ’71, infatti, è già la seconda edizione che la giovane ventottenne conduce, al fianco di Corrado, dopo la consacrazione raggiunta l’anno precedente quando, scardinando le direttive censorie impartire dalla Chiesa Cattolica sulla base delle norme di autodisciplina per le trasmissioni televisive del ’54, si presentò con l’ombelico scoperto nella coreografia della sigla di apertura Ma che musica maestro!. Una piccola grande rivoluzione, perfettamente in linea con lo stile sovversivo messo in luce dalla Carrà nella stagione televisiva 1969-70 con i numeri musicali di Io, Agata e tu (condotto al fianco di Nino Ferrer, Nino Taranto e Norman Davis). In quella cornice la showgirl venne chiamata dopo un’esperienza attoriale avuta in Francia, sul set de Il caso “Venere privata”.

E fu a Parigi che la Carrà venne folgorata dall’edizione francese del musical Hair, opera cardine della controcultura hippie, che proprio nel 1969 andava in scena al Theatre de la Port Saint-Martin. Segnata dalla potenza emancipante delle coreografie di Julie Arenal, appena tornata in Italia, alla produzione di Io, Agata e tu chiese semplicemente tre minuti ad ogni puntata per poter ballare. Ed è in quei numeri, prima dell’ombelico scoperto e prima ancora del Tuca Tuca, che è possibile rintracciare il dettaglio originario che testimonia il cambiamento nel modo di ballare in televisione innescato dalla Carrà: i capelli spettinati, gli hair appunto. La libertà, in quel momento, passava dai capelli. E la Carrà, in anticipo su tutti, la portò nella televisione attraverso la danza.

L’ultima regina della televisione italiana

Un’icona, si diceva. Una presenza femminile che ha scortato i cambiamenti culturali e politici tracciando un solco tra un’epoca pre-raffaellita e un’era post-raffaellita. Una creatività artistica multipla che ha ispirato a tutte le latitudini, a qualsiasi orizzonte cronologico. Libera e sbarazzina, vamp e gioiosa, comunque sempre straripante. Una colonna sonora trasversale, una bandiera inclusiva, dalle rivendicazioni femministe alle battaglie della comunità LGBTQ. Un simbolo dalla risata contagiosa. Una rivoluzionaria pop, la prima. Una regina, la sola e forse l’ultima della televisione italiana.

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Giornalista pubblicista, cantautore e compositore, laureato in Lettere Moderne all'Università degli Studi di Napoli Federico II, ha proseguito la sua formazione in Discipline della Musica e dello Spettacolo concentrando le sue ricerche sul Cinema e studi visuali.