Nella stagione del TAN (Teatro Area Nord), quest’anno c’è spazio anche per la danza ed il teatro-danza, nonché per spettacoli di sperimentazione, nati grazie a collaborazioni tra giovani collettivi che decidono di indagare sui dei concetti umani e sociali. Mi riferisco soprattutto allo spettacolo Why are we so f***ing dramatic? nato all’interno del gruppo Fattoria Vittadini, una compagnia milanese creata da allievi dell’Accademia Paolo Grassi che hanno deciso dal 2009 di rimanere uniti e continuare a farsi strada insieme nel campo delle arti performative. Riuscire a mantenere unito un gruppo così numeroso nel sistema delle performing arts italiane sempre più congestionato ed economicamente difficile è un progetto ambizioso e allo stesso tempo una sfida che solo da giovani si può accettare. Dal 2009 fin’ora il collettivo è stato coinvolto in progetti di grandi nomi della scena coreografica contemporanea, come Virgilio Sieni, Alessandro Certini, Jean Claude Penchenat, Maria Consagra, Giulio D’Anna, Matanicola e Maya Matilde Carroll. Fattoria Vittadini nasce profondamente convinta che sia però proprio nell’idea di collettività e di lavoro condiviso una delle possibili soluzioni all’attuale crisi che domina il settore e si profila come un gruppo in grado di mettere in risalto le individualità, lasciando agli undici interpreti anche lo spazio per condurre il proprio personale percorso di formazione, perfezionamento e crescita.

fattoria vittadini

Proprio da questa libera indipendenza di ogni membro del gruppo, sempre nel supporto reciproco e comune, nasce l’idea di Why are we so f***ing dramatic? che vede protagoniste Francesca Penzo, membro del collettivo e Tamar Grosz, danzatrice israeliana, che ha lavorato con varie compagnie importanti tra cui la Batsheva dance company. Due donne, dunque, incontratesi a Berlino, hanno deciso di comporre un duo che ha circuitato sulla rete Anticorpi XL. La loro creazione approda, poi, a Napoli grazie alla co-produzione di Interno 5, che sostiene e promuove il progetto, e, dopo una residenza di venti giorni allo Start, il prodotto di ormai quarantacinque minuti è presentato al pubblico del TAN. La scelta del campo di indagine coreografica riguarda proprio il genere ed il mondo femminile e la veste “esterna” e teatrale con cui il lavoro si presenta è quella scientifica e tecnica. La scelta delle due coreografe ed interpreti è stata quella di analizzare la donna come una specie particolare di animale, servendosi di una voce che accompagna l’articolazione in capitoli di un piccolo vademecum della donna tipo. Le due protagoniste, adagiate su di un sofà, accolgono il pubblico che prende posto nella profonda platea del teatro come fossero in esposizione nella vetrina di un negozio di divani; subito una voce inizia ad intavolare la discussione sull’argomento in questione, mentre le due donne iniziano a far delineare nei loro corpi dei gesti, dei movimenti e delle qualità. Le taglie, i centimetri, il colore della pelle, le nevrosi, gli eccessi, le deformazioni di umore causate dal ciclo mestruale, i rapporti sessuali, tutto quello che appartiene al genere femminile, – con un occhio alle specificità di Francesca e Tamar-, prende concretezza e sensibilizzazione nei loro corpi, in un’atmosfera chiara e luminosa (le luci sono fisse e la scena è molto illuminata). I corpi, eccellenti tecnicamente, morbidi, all’unisono, sono astrattamente descrittivi, non cercano, dunque, di descrivere le varie situazioni annunciate dalla voce, ma fanno circolare nel corpo quelle specifiche informazioni e le ripassano al pubblico sottoforma di morbidezza, flessibilità, ritmi, cambiamenti di livello, delineazione di spazi fissi e precisi. I ritmi del corpo sono quelli che scandiscono il rito generale della coreografia e la voce che, ad ogni introduzione di scena parla, è uno stimolo per la mente degli spettatori che è liberamente invitata a processi di riflessione, associazione ed identificazione sul tema indagato. Ad un’atmosfera chiara si cede, nella seconda parte, il passo ad uno stato visionario, immaginifico: le luci sono soffuse, il luogo si fa più caldo ed intimo, le donne iniziano a rivelarsi più dal profondo, le scatole dei loro cuori si aprono, il suono della voce, telegrafico e sezionato, arriva allo stremo della frammentazione generandosi, da una deformazione sonora, in musica per un finale di nuovo insieme, per una sorta di conoscenza in toto che si offre al pubblico sui soggetti. I movimenti animaleschi, a volte ironici, sono stati studiati senza essere, per forza, coerenti con la voce che descrive e questo rende il lavoro interessante e sperimentale. Voce e movimento non fanno a braccetto ma si esprimono negli stessi tempi, in sincronia, e rivelano aspetti differenti del soggetto, in un certo senso si completano. Il tema sul genere femminile inaugura uno spettacolo di ricerca teatrale contemporanea che potrebbe essere definito “di genere” che è, secondo me, una strada efficace per affrontare temi apparentemente semplici e scontati che, però, portati sotto osservazione, in prova e poi sulla scena, possono aprire universi artisticamente ed umanamente interessanti.

 

Why are we so f***ing dramatic?

Idea – Coreografia Francesca Penzo, Tamar Grosz

Performance Francesca Penzo, Tamar Grosz

Sound design originale Clèment Destephen

Musiche non originali  Vivaldi, Les Revels, Pulp Fiction OST

Direzione tecnica  Giulia Pastore

produzione  Fattoria Vittadini e START – Interno 5

coproduzione  NEXT / Regione Lombardia

sostegno Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e del Comune di Milano

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