Non tutte le stelle brillano allo stesso modo. Chi è abituato a guardare il cielo, lo sa. Emanare una luce forte, tanto forte da restarne incantati, non è poi così facile. Forse è proprio la parola ‘stella’ ad essere inflazionata nel mondo della danza, accompagnata spesso da una grande aspettativa, frutto di un battage pubblicitario non sempre veritiero. Detto questo, è ammirevole lo sforzo organizzativo di proporre una serata di danza con tanti ospiti stranieri che ha coinvolto un folto pubblico di appassionati – massiccia la presenza del corpo di ballo del teatro San Carlo con artisti di ieri e di oggi – in attesa di restare abbagliati dalla bellezza e dalla bravura. Illusione disattesa, almeno in parte, perché nell’evento speciale dal titolo “Daniil Simkin e le stelle internazionali della danza”, proposto da Sergio Ariota e da Andrej Lyapin, direttore artistico, qualcosa non ha funzionato. Pochissimi sono stati i danzatori che realmente hanno lasciato il segno per un lavoro eccellente. Per la prima volta in Italia, lo spettacolo – previsto all’Arena Flegrea ma trasposto all’ultimo momento al Teatro Mediterraneo per l’ennesima ondata di maltempo – ha riassunto in circa due ore i brani più salienti del grande repertorio classico da Il lago dei cigni (cigno bianco e cigno nero) a Diana e Atteone (tra le coreografie più impervie e difficili, creata da Agrippina Vaganova) passando per La bella addormentata (Uccello Blu e Pas de deux del terzo atto) a Don Chisciotte (quadro del torero Espada e poi Grand pas de deux), Schiaccianoci, Lo spettro della rosa (creato nel 1911 da Mikhail Fokine per Vaslav Nijinski) e Fiamme di Parigi, ancora un punto d’arrivo per danzatori esperti, fino a Le Corsaire e Le Bourgeois gentilhomme. Insomma il fior fiore della tecnica. L’impressione è stata che non tutti i ballerini fossero all’altezza di interpretare al meglio tanta difficoltà.  Interessante in partenza il progetto di dare spazio a quindici scuole di danza campane, selezionate nell’ambito del progetto “Danza e Professione” da Sergio Ariota, per formare il corpo di ballo del Passo a due del cigno bianco con ventiquattro ragazze ma che nonostante gli sforzi di un lavoro di insieme (che immaginiamo animato dalle migliori intenzioni: accurato e pulito) non ha dato esiti particolarmente incisivi, forse per il poco tempo a disposizione. Meravigliosa è stata Tatyana Bolotova, del Teatro Stanislavskij di Mosca, che ha danzato nel ruolo di Kitri in maniera eccelsa. Esile, bel proporzionata, con linee perfette, una grazia infinita e una tecnica strepitosa, ha conquistato proprio tutti. Dopo di lei, in ordine di esibizione, Skylar Brandt dell’American Ballet Theater; precisa, pulita, rifinita in ogni dettaglio nel ruolo di Medora (Le Corsaire), in uno dei passi a due più famosi della storia, reso celebre dall’indimenticabile coppia Margot Fonteyn / Rudolf Nureyev, “il tartaro volante” dal fascino unico, leggendario, incontenibile per carisma, personalità e grinta da vendere. Protagonista assoluto della serata, Daniil Simkin, primo ballerino dell’American Ballet Theater che ha lasciato tutti a bocca aperta per la sua tecnica formidabile con salti acrobatici, degni del più alto virtuosismo, e giri da compasso. Senza tralasciare l’aspetto espressivo- che oggi purtroppo sembra essere messo sempre in secondo piano -come ha ben sottolineato nell’interpretazione de Le bourgeois gentilhomme, ironica, accattivante e misurata, ha sfoggiato una sicurezza scenica e un bagaglio artistico così particolari che a ragione viene presentato dalla critica mondiale come l’erede di Mikhail Baryshnikov. Nell’apoteosi dei brani certamente conosciuti un po’ da tutti, il pubblico napoletano ha dato il suo peggio. Va bene l’entusiasmo, ma arrivare ad applaudire ogni passo, disturbando la concentrazione degli artisti, la magia della scena, il normale svolgimento di uno spettacolo depauperandolo della sua ‘sacralità’, è veramente un aspetto su cui riflettere. Tutto si può fare ma al momento giusto. Rispettando tempi e luoghi. Lontano dal fanatismo fastidioso e controproducente, lontano dalla cattiva educazione in genere (mangiare e bere in sala dovrebbe non essere consentito), lontano dalle esasperanti esagerazioni di ogni genere, c’è un mondo fatto di rispetto, di bellezza, di semplicità, di emozioni interiori vissute nel silenzio che fa comprendere meglio e più in profondità. Un mondo fatto di arte. Quella che eleva lo spirito. Elisabetta Testa

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