Oggi 29 aprile 2015, come ogni anno dal 1982 in cui è stata istituita dal Cid dell’Unesco, è la Giornata Internazionale della Danza. Da anni la si celebra in varie città italiane con molte iniziative di enti pubblici o privati. La prima a celebrarla quattordici anni fa è stata Napoli con Movimento Danza di Gabriella Stazio, membro dell’International Dance Council dell’Unesco. Da due anni, su iniziativa del maestro Gioseph Fontano, anch’egli membro Cid- Unesco, anche l’ Accademia Nazionale di Danza di Roma celebra questa iniziativa: dal 27 di aprile ha organizzato un Open Day con molti appuntamenti per presentare spettacoli e lezioni dimostrative con allievi e insegnanti. Lunedì si è tenuta la seconda edizione del Forum Comunicare la danza in collaborazione con il Giornale della danza, evento sulle nuove forme di comunicazione e informazione nel campo della danza.
Ma sarà oggi alle 16 che le celebrazioni avranno il loro momento clou con la lettura da parte di Luca di Paol o del messaggio scritto dal coreografo Israel Galvan, alcune performances degli allievi dell’Istituto e l’assegnazione del Premio alla Carriera alla docente di danza moderna Elsa Piperno alla presenza del commissario Prof. Giovanna Cassese e membri del Ministero.

Autofocus di E. Piperno
Autofocus di E. Piperno

Crediamo che tale premio vada segnalato ed approfondito perchè celebra una persona, Elsa Piperno, che della danza ha fatto il nucleo centrale della sua esistenza non solo di artista ma di donna e di cittadina. Elsa Piperno è colei che ha portato in Italia negli anni Settanta la modern dance americana ed in particolare la tecnica di Martha Graham. Fino ad allora l’Italia aveva una cultura di danza incentrata essenzialmente sul balletto classico con qualche approccio alla danza moderna centro europea con Aurel Millos in produzioni di teatri lirici ed altri tentativi che però non si erano strutturati in una scuola e in una compagnia professionale. Tale approccio, debolmente seguito nella didattica, presupponeva comunque una forte base classica di partenza. La tecnica Graham no, forma professionisti a prescindere da una cosnoscenza della tecnica classica perchè nasce da presupposti culturali e motori che in origine vi si sono addirittura contrapposti. Elsa Piperno è dunque la pioniera di una disciplina ma soprattutto di un modo di pensare alla danza moderna e contemporanea assolutamente innovativo in Italia, rivendicandone per anni l’autonomia e una pari dignità artistico-estetica rispetto a quella classica. La sua compagnia Teatrodanza contemporanea e le sue coreografie hanno sottolineato tematiche ugualmente inedite nel panorama coreografico dell’epoca, il suo Centro è diventato fulcro di formazione di intere nuove generazioni di danzatori e creatori. La Piperno, personalità magnetica e sensibilissima,  inoltre non è mai vissuta chiusa nel proprio lavoro ma si è spesso distinta tra coloro che si sono battuti, purtroppo spesso invano, anche per una legislazione ad hoc per la danza che non la veda come appendice del teatro lirico nel campo dei finanziamenti ministeriali.

Abbiamo voluto chiederle quali sono gli aspetti più importanti della sua carriera e come si sia avvicinata alla danza.

Sono nata in a Mogadiscio in Somalia ed ho avuto un imprinting secondo me venuto da lì, per me danzare era la mia maniera di comunicare anche perchè ancora era presente in Africa un’attitudine preponderante alla danza come mezzo espressivo. Tornata in Italia a Roma,  ho iniziato a studiare in Accademia,  diretta da Jia Ruskaja, prevalentemente danza classica.  In  quell’epoca esisteva solo l’orchestica, ideata dalla Ruskaja come movimento libero. Nel 1956 a quattordici anni venni cacciata in malo modo senza una spiegazione, dopo essermi assentata un paio di giorni per un’influenza. Ritengo che la direttrice fosse antisemita ed avesse così colto la palla al balzo per disfarsi della presenza di Elsa Di Laudadio che è il mio nome di nascita, ragazza ebrea. Anche se mia madre andò a domandare spiegazioni nonle fu data alcuna motivazione a questa decisione che subii in maniera traumatica. Negli anni successivi alcuni hanno confutato questa motivazione ma altri, che hanno per anni studiato e lavorato al fianco della Ruskaja, lo hanno invece confermato e comunque io l’ho vissuta come una discriminazione.

Incontri improbabili E. Piperno

Quando è avvenuto il suo cambio di cognome?
E’ il cognome del mio ex marito che ho adottato in Inghilterra perchè il mio originale era troppo difficile da pronunciare! Dopo tre anni di sospensione dell’attività dall’espulsione dall’Accademia, decisi di continuare lo studio della danza all’estero e allora la scelta era tra l’Unione Sovietica e l’Inghilterra, preferii la seconda più consona al mio modo di danzare un po’ più moderno ed sicuramente più accessibile. Vidi a Roma uno spettacolo di Marie Rambert e mi innamorai del suo lavoro. A Londra seguii per tre anni la Rambert School ma nei primi anni Sessanta la città era un fiorire di iniziative culturali rivoluzionarie, ebbi anche l’occasione di seguire artisti che erano stati transfughi dal nazismo, che incarnavano lo stile espressionista tedesco. Avevo inoltre visto il famoso documentario A Dancers world di Martha Graham e trovai affascinante il suo lavoro, quando seppi che la compagnia sarebbe arrivata al Festival di Edimburgo, feci carte false per andare a vedere lo spettacolo e lì capii che era quello che volevo fare ad ogni costo. Dopo poco tempo organizzarono un seminario di tre mesi con danzatori e insegnanti della compagnia di Martha Graham e, in quanto molto apprezzata da un’insegnante della Rambert school, riuscii ad essere ammessa senza dover superare la selezione prevista. Eravamo in 1200, di questo gruppo ne furono scelti 120 e da questi restarono solo i 14 membri che diedero vita al nucleo fondatore del London Contemporary Dance Company poi London Contemporary Dance Theatre. Fummo sottoposti ad un training intensissimo, quando arrivò Robert Cohan come direttore artistico, volle danzatori preparatissimi e versatili. Non si danzava solo Graham, erano anni di scambi e incontri culturali ricchissimi, venne Viola Farber dalla compagnia di Merce Cunningham a montare un lavoro per noi. E qualche mese dopo venne a creare un nuovo lavoro anche Jean Cebron, che invece danzava secondo i principi della danza tedesca di Kurt Jooss. Insomma danzavamo almeno tre tecniche diverse!! Quel periodo di formazione e di lavoro mi ha permesso di ottenere i risultati conseguiti dopo, sia dal punto di vista artistico, sia di capacità di resistenza al lavoro. Nella danza alle volte si arriva ad uno sfinimento fisico ma se si riesce astringere i denti si può andare avanti sostenuti da una grande passione e da un grande desiderio di conoscenza.

Come è stato poi il suo ritorno in Accademia?
All’inizio degli anni Settanta, dopo oltre undici anni in Inghilterra, cominciai a sentire anche in Italia un grande entusiasmo ed una curiosità verso la danza contemporanea. Chiesi un congedo di vari mesi dalla compagnia e cominciai a vedere cosa si muoveva in Italia. Organizzai proprio nel 1970 una lezione- conferenza all’ U.S. I. S all’Ambasciata Americana sulla tecnica Graham e lì conobbi anche Vittoria Ottolenghi che mi ha sempre seguita ed apprezzata nel mio lavoro. Venni poi a sapere che il maestro Cebron era ospite all’ Accademia di danza e con notevoli difficoltà rispetto alla mentalità anglosassone, riuscii ad avere un permesso per seguire le sue lezioni. Dovetti fare una specie di provino di idoneità anche per fare una lezione come ospite ma, dato il mio curriculum, fu organizzata anche lì una lecture demonstration in cui presentai la lezione tipo della tecnica Graham a quelle che un tempo erano state mie colleghe di corso e insegnanti, tra cui Lia Calizza e Giuliana Penzi, allora nuova direttrice. Restarono molto affascinate e incuriosite dalla mia presentazione. Tornare in quel luogo ancora molto rigido e formale fu abbastanza strano e soprattutto fu divertente quando riconobbero che la Piperno altri non era che la Elsa Di Laudadio!! Nel 1972 formai la mia compagnia di Teatrodanza Contemporanea con Joseph Fontano, Macha Plevin e tanti altri e un mese dopo nacque a via del Gesù il Centro Professionale di danza contemporanea. Da allora il rapporto con l’Accademia è sempre stato cordiale. Nell’ 80 la signora Penzi mi chiese di andare ad insegnare in Accademia e mi assegnò i corsi dal quarto al perfezionamento. Posso dire che tutte le attuali insegnanti sono state mie allieve. Così come in molti centri privati in giro per l’ Italia. Tornare in Italia e in Accademia ha rappresentato anche un notevole sforzo per affermare principi e dinamiche che la burocrazia italiana non concepisce.
L’Accademia fa parte del sistema italiano la cui burocrazia rallenta tutto. Ad un certo punto lasciai e subentrò Elisabeth Sjostrom e poi altri miei danzatori. Solo successivamente rientrai quando fu istituita la cattedra di danza contemporanea.

Come vede l’attuale situazione dell’Accademia di danza con i continui commisariamenti che non riescono a garantire continuità di gestione?

L’Accademia è in un luogo bellissimo ed è un’Istituzione importante per l’Italia ma ne riflette, in piccolo, tutti i difetti che la caratterizzano sul fronte politico e organizzativo, con litigiosità interne che alla fine sono controproducenti ed autodistruttive.

E’ possibile formare un danzatore contemporaneo professionista a prescindere dalla danza classica?
Sono oltre trent’anni che combatto per questo principio, ho formato il fior fiore di danzatori contemporanei e solo dopo alcuni anni di lavoro in compagnia mi chiesero di fare delle lezioni di danza classica perchè erano incuriositi e volevano provare sul loro corpo questa tecnica. Con docenti con una mentalità aperta, come il compianto maestro Ricardo Nunez, fu possibile iniziare un proficuo scambio culturale. Più lingue si conoscono e meglio è, più si potrà comunicare, bisogna però avere una lingua madre altrimenti si diventa schizofrenici. Ugualmente per un danzatore è importante che abbia un bagaglio chiaro di riferimento per la propria formazione, per poi aprirsi ad altre forme di movimento. Altrimenti si rischia il calderone espressivo in cui si agitano alcuni performers di oggi che in realtà, a mio avviso, rappresentano il vuoto. Attenzione anche il vuoto potrebbe essere un messaggio comunicativo valido.  Michelangelo Antonioni nel cinema ha validamente espresso, in un certo periodo storico,  il senso dell’alienazione… ma quello che intendo è il nulla dell’ignoranza che fa accostare tra loro esperienze confuse e conoscenze superficiali che vengono presentate come tecniche contemporanee. Per uscire da certi canoni si ricade in nuovi clichè che sono ormai noiosi e ripetitivi, movimenti molto poveri che non hanno una ricerca alle spalle e soprattutto non sono espressivi. Noto una scarsa propensione alla comunicazione. Addirittura oggi trovo più significativo l’Hip hop che esprime meglio la rabbia da cui è nato. E’ una danza che nasce dall’interno, mentre certa danza contemporanea è troppo celebrale ed ha perso il contatto con il corpo.

Che cosa pensa della situazione dell’insegnamento della danza contemporanea in Italia?

Dirò cose forse ripetitive, ma l’immagine della danza che è passata in televisione negli ultimi venti anni è stata diseducativa per qualunque tipo di insegnamento. Si crea l’illusione di diventare famosi con quattro mesi di studio, attraverso polemiche e meschinità. La De Filippi ed il suo talent hanno danneggiato severamente l’etica del lavoro e dello studio del danzatore classico o contemporaneo che sia. Per diventare un bravo professionista bisogna seguire un percorso di formazione serio di studio e conoscenza e studiare non solo la danza ma aprirsi culturalmente a tante esperienze anche intellettuali. Anche in fenomeni come i saggi di danza vedo espressi concetti sbagliati come l’esibizionismo fine a se stesso piuttosto che la ricerca di un discorso culturale e comunicativo, in scena bisogna andare quando si è veramente pronti per farlo e per comunicare il proprio lavoro. Trovo poi assolutamente sbagliato e privo di rispetto il fatto che spesso il pubblico se ne vada quando è finito il brano che interessa perchè li’ c’è il proprio parente o amico, così non si creerà mai un pubblico, chi sarà interessato a vedere uno spettacolo di danza e ad imparare dagli altri? La danza italiana è piena di ambiguità culturali e di fenomeni che non valorizzano l’arte ma interessi commerciali.
Inoltre il dramma della danza italiana è che non è riconsciuta giuridicamente dalle leggi dello Stato. Esistono leggi regionali, neppure in tutto il paese, ma non una legge nazionale che riconosca la danza non in quanto appendice dell’opera, ma in quanto arte autonoma. Le Muse delle arti teatrali, come è scritto sulla facciata del teatro Argentina a Roma,  sono distinte: Melpomene, Euterpe e Tersicore. Sono tre realtà differenti per caratteristiche ed attribuzioni, tranne che per la cultura ufficiale italiana. Questo è il messaggio che da anni ho tentato di affermare ai miei allievi e che ora penso debba essere trasmesso alle nuove generazioni. Chi ama e lavora nella danza deve cercare persone affini ed unirsi per rivendicare i principi  e i diritti della danza, superare inutili rallentamenti ed ostacoli burocratici e promuovere chi è valido.
Roberta Albano

"Dedica" Cor. J. Fontano
“Dedica” Cor. J. Fontano

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Docente di Storia della danza all’Accademia Nazionale di Danza di Roma è laureata al DAMS dell’Università di Bologna in “Semiologia dello Spettacolo”. Docente di danza classica abilitata all'AND, è critico di danza, studiosa e autrice di saggi e monografie sulla danza. Dal 1990 al 2014 è vicedirettrice dell’associazione Movimento Danza di Gabriella Stazio. E’ inoltre socio fondatore di AIRDanza - Associazione Italiana per la Ricerca sulla Danza.