Tra gli interstizi del desiderio, Cutlass Spring di Dana Michel
Foto di © Jocelyn Michel

SANTARCANGELO – Il Festival di Santarcangelo è al suo secondo giorno, sui suoi palcoscenici già si sono susseguiti artisti poliedrici dai linguaggi variegati e peculiari. Ho lasciato uno scenario di aperta campagna dove una comunità non-conforme testava nuove forme di con-vivenza e ora mi accingo ad entrare tra gli interstizi del desiderio con Cutlass Spring di Dana Michel.

Sessualità e desiderio, le materie prime del lavoro

Una disamina del desiderio estremamente peculiare, una perlustrazione delle frontiere della sessualità radicalmente personale, un tuffo in un archivio di memorie e oggetti, una concessione del tutto confidenziale. Questa è solo la base da cui scaturisce Cutlass Spring dell’artista canadese Dana Michel. Infinite le possibili letture, imprevedibili le interpretazioni di gesti e azioni apparentemente prive di logica.

La scena è un’arena bianca circondata sui quattro lati dalle tribune. La abitano oggetti inconsueti e a tratti di difficile collocazione: delle sedie di plastica da esterno, un carrellino con ruote, una coperta, dei tappeti. Dana entra in scena dritta e sicura, si siede sopra il carrellino e inizia col bacino un movimento oscillatorio sempre più accentuato che fa muovere in avanti la seduta ricordando i contorni di un atto sessuale. Forse è l’unico momento in tutta la performance in cui l’appiglio alla tematica di fondo trapela così forte.

Fare e disfare, oltre ciò che è lecito e giusto. Tra gli interstizi del desiderio, Cutlass Spring di Dana Michel

Un flebile beat box accompagna la performer in imprese irrequiete ma improbabilmente necessarie durante le quali ha a che fare con gli oggetti più impensabili: è tutto un fare e disfare di accumuli, un calpestare e intrecciarsi, un inerpicarsi e accovacciarsi, un lanciare e scaraventare, un acchiappare e custodire, un togliere e mettere, un entrare e uscire. Ogni cosa ne contiene altre, ogni oggetto porta a termine azioni per le quali non era stato progettato: come l’identità di ognuno di noi, fatta a strati, multitasking, divisa in compartimenti che tutto sono fuorché stagni.

La danza, come la sessualità, si impossessa tanto dei corpi organici quanto di quelli inorganici i cui percorsi viaggiano paralleli ridefinendo via via i contorni che la convenzione ha scritto loro. Dana scaglia un cuscino e ne escono sacchetti pieni ghiaccio: supina, se li rovescia addosso, si rotola nel freddo, li fa turbinare sul pavimento. Compaiono un telefono e una piastra elettrica. Dana usa e abusa, tocca tutto. Ne risulta un manifesto di consapevolezze tutte personali, un processo di de-censura pubblica, un andare oltre il giusto o sbagliato, lecito o illecito. Un permettere al sé più autentico di scendere in campo e mostrare le sue danze.

CREDITS

di e con Dana Michel
consulenza artistica Ellen Furey, Peter James, Mathieu Léger, Heidi Louis, Tracy Maurice, Roscoe Michel, Karlyn Percil, Yoan Sorin, Alanna Stuart
light design Karine Gauthier
consulente del suono David Drury
direzione tecnica Karine Gauthier, Caroline Nadeau
produzione Dana Michel
produzione esecutiva Parbleux
distribuzione Key Performance – Anna Skonecka, Koen Vanhove
con il sostegno di Canada Council for the Arts, Conseil des Arts et des Lettres du Québec

progetto realizzato con il supporto di Ambasciata del Canada in Italia, Delegazione del Québec a Roma

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Laureata in Letterature comparate e postcoloniali all'Università di Bologna, combina la passione per la lingua e l'interesse per la danza scrivendo e conducendo ricerche nell'ambito della scena performativa contemporanea. Parallelamente all'impegno accademico e a quello giornalistico, porta avanti collaborazioni come dramaturg della danza e percorsi di ricerca personali come performer. Si occupa inoltre di organizzazione e promozione culturale collaborando con enti del terzo settore che si muovono tra danza e comunità.