BERLINO – Prima ancora di trasferirmi a Berlino, grazie ai numerosi viaggi fatti nella capitale tedesca, avevo già costruito nella mia mente una mappa ideale della città.
C’erano posti che mi ricordavano serate trascorse con amici, sentieri che erano impressi nella memoria per gli scorci suggestivi che si aprivano sul canale o sulla Sprea, prati che trovavo perfetti per sdraiarmi a leggere o per prendere il sole. Insomma, una sorta di carta geografica con i luoghi del cuore.
Da quando vivo qui, questa mappa si è arricchita di tanti altri angoli belli o importanti.
Tra questi, nella mia personale lista ‘luoghi dell’arte’, c’è la Galleria di Tanya Leighton.
A pochi passi dalla fermata della U8 Korfürstenstrasse, l’uno di fonte all’altro, ecco alcuni tra gli spazi espositivi di Berlino dove ho potuto godere di interessantissime esposizioni d’arte, molto ben curate.

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Proprio lì, in questi giorni, è in corso la mostra dal titolo “It’s not lame… It’s lamé” di Jimmy Robert.
All’opening, girando tra le opere dell’artista guadalupense, subito si è colpiti dall’idea di ‘movimento’, presente tanto nei suoi lavori astratti che nelle opere raffiguranti soggetti umani.
Nel caso delle immagini, la scelta dei supporti grafici e la loro esposizione è di grande respiro. Ho ritrovato la stessa sensazione di leggerezza e di movimento anche nelle altre opere. C’è, ad esempio, una composizione di fogli di carta, tipo origami, che rimanda a una scultura intitolata Metallica composta da lamine di alluminio verniciate, le cui geometrie lineari e spigolose fanno pensare a una grande gonna a balze in movimento.

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Durante la serata, mentre tutti erano intenti a osservare i lavori esposti, è iniziata una performance che ha catturato l’attenzione generale.
Un danzatore, le cui gambe erano coperte e quasi avvolte proprio dalla scultura Metallica, ha iniziato, con movimenti prima lenti e poi più veloci e marcati, a riprodurre le linee dell’opera dentro la quale si muoveva.
Come una figura mitologica, l’uomo dal busto umano e dagli arti inferiori mutati in una composizione di lastre d’acciaio, ha iniziato a dar vita alla scultura stessa.
Muovendosi su tre diversi livelli, il busto, inizialmente adagiato e piegato su una delle lamine bianche, si è molto lentamente eretto, rimandando, con il movimento delle braccia, alle geometrie dell’opera.

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Incuriosito dal suo lavoro e dall’esibizione a cui ho assistito, finito l’opening, ho un po’ parlato con Jimmy Robert.

Che influenza ha la danza nel tuo lavoro?

 La danza, e per estensione qualsiasi forma di gestualità, è molto importante per me.
Aver imparato “Trio A” da Yvonne Rainer*, come Pat Catterson** l’aveva pensato 11 anni fa, è stato un notevole insegnamento grazie al quale ho compreso che qualsiasi cosa in movimento può essere considerata danza. Di conseguenza, questo approccio ha rappresentato qualcosa di enormemente liberatorio grazie all’idea che il lavoro non riguarda solo la tecnica, ma anche l’analisi di ciò che accade nel mondo circostante, dei corpi e delle diverse idee che quest’analisi tende a generare. La danza esercita un’influenza altrettanto importante quanto la letteratura, alcune politiche, la moda. La danza si trova proprio dappertutto, ed io ho sempre gli occhi aperti in modo da coglierla ovunque si manifesti, quando meno me lo aspetto.

* Yvonne Rainer, divenuta famosa negli anni ’60 per la ‘ordinary dance’, inseriva nelle sue coreografie gesti ordinari, semplici camminate, mischiandole a passi di danza classica.

** Pat Catterson, danzatrice e coreografa, assistente di Yvonne Rainer sino al ‘99

Cosa ne pensi delle contaminazioni tra discipline diverse nell’arte contemporanea?

Contaminazione suona un po’ negativo, avrei preferito dire ‘impollinazione’.
Finché da questa impollinazione nasce un buon lavoro, sono totalmente favorevole. La sperimentazione è due volte più gioiosa quando produce qualcosa di radicale o quando suggerisce domande altrettanto interessanti. Quando la sperimentazione non è ben riuscita, tutto diventa gratuito o semplicemente qualcosa di opportunistico.
Ora è il momento delle performances. Spero che questa tendenza duri più di una stagione.
È un momento di dialogo e ne dobbiamo godere, perché è sempre un momento emozionante, forse anche inversamente proporzionale all’economia che ci circonda.

Nei tuoi lavori futuri prevedi di coinvolgere ancora la danza?
 Cercherò il più a lungo possibile di utilizzare la danza, o di collaborare con persone che possono aiutarmi in tal senso ma, come ho già detto, il mio interesse si rivolge soprattutto alla perfomance, che si trova in più di un posto, non solo nella danza. La si può trovare in generi di cose differenti, negli oggetti, nel linguaggio, etc.
I limiti, costituiscono solo impulsi che ispirano nuove opere.

Nicola Campanelli

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Danzatore per la Compagnia di danza contemporanea “Connecting Fingers”, di base a Berlino, dove collabora con coreografi e direttori artistici di fama internazionale. E’ inoltre istruttore di Pilates.