Colori, sogni, meraviglia. Sono questi i concetti “chiave” che ispirano i costumi creati da Giusi Giustino per il balletto natalizio per antonomasia, Lo Schiaccianoci di Marius Petipa e Lev Ivanov sulle celeberrime musiche di Ciajkovskij che il Teatro San Carlo, in questi giorni (dal 30 dicembre al 5 gennaio) e per sette recite con triplo cast, ripropone nella deliziosa produzione creata nel 2003 con le scene di Nicola Rubertelli e appunto i costumi della Giustino, da oltre vent’anni responsabili dei rispettivi, preziosi laboratori presso il Lirico napoletano. Il tutto, nella più recente versione coreografica varata lo scorso anno da Alessandra Panzavolta, ex vertice della Compagnia di Balletto sancarliana. Interpreti: per il Principe Schiaccianoci si alterneranno Giuseppe Picone (30 dicembre, 2 gennaio, ore 17 e 3 gennaio, ore 21) con Alessandro Macario (2 gennaio, ore 21, 4 e 5 gennaio) e Alessandro Staiano (3 gennaio, ore 17), per il doppio ruolo Clara/Fata Confetto, Jurgita Dronina (30 dicembre, 2 gennaio, ore 17 e 3 gennaio, ore 21), Anbeta Toromani (2 gennaio, ore 21, 4 e 5 gennaio) e Luisa Ieluzzi (3 gennaio, ore 17), accanto a Orchestra, Corpo di Ballo e Coro di Voci Bianche del Teatro di San Carlo, nonché al fianco degli allievi della Scuola di Ballo da 25 anni affidata alla magistrale direzione di Anna Razzi. (Sotto, immagini di scena, foto Francesco Squeglia)
Alla base della lettura coreografica della Panzavolta, l’idea di non scindere i ruoli di Clara e della Fata Confetto per rendere ad oggi più credibile il racconto e, dunque, la naturale evoluzione della protagonista da bambina ad adolescente, senza tra l’altro scivolare con il secondo atto in variazioni da galà. Più moderna anche la visione ironica del salotto borghese del sindaco Stahlbaum, l’impostazione delle geometrie d’assieme per i fiocchi di neve così come diversa risulta la danza araba, trasformata in sinuose seduzioni da sirena. Quindi la chiusura della fiaba, significativamente con i personaggi non del salotto ma del sogno di Clara adulta-bambina. Di qui il taglio, originalissimo, nell’ideazione e realizzazione degli abiti di scena.
Abiti in bilico tra fiaba e verità del personaggio. Quali le regole?
«Per questo allestimento ho pensato soprattutto al pubblico dei più giovani e, dunque, alla loro capacità di stupirsi e di sognare. I costumi devono essere belli, colorati, luccicanti, sfavillanti, immediati» dichiara in merito Giusi Giustino, napoletana, studi all’Accademia di Belle Arti della sua città, costumista da oltre trent’anni, Direttore della Sartoria del Teatro San Carlo dall’anno 1990 e autrice dei costumi di innumerevoli spettacoli lirici, coreutici e di prosa fra i quali si citano, almeno, Capriccio di Strauss con le scene di Arnaldo Pomodoro, Lo Schiaccianoci e La Bayadère coreografati da Derek Deane, i capolavori fabulistici in danza creati dalla Razzi come Pinocchio, Peter Pan, il Guarracino con le scene di Lele Luzzati, le collaborazioni con registi quali Filippo Crivelli, Luca De Fusco, Fabio Sparvoli, Davide Livermore, Walter Le Moli, Paul Curran, il lungo sodalizio con Tato Russo e gli impegni con teatri italiani ed esteri, come il Carlo Felice di Genova, il Verdi di Trieste, il Piccinni di Bari, La Fenice di Venezia (I quattro rusteghi di Wolf-Ferrari), il Regio di Torino (Die Entführung aus dem Serail di Mozart), l’Opéra di Montpellier (Sémélé di Marais con O. Simonet, Eine florentinische tragödie di Zemlinsky e Il segreto di Susanna di Wolf-Ferrari), il “Festival de Radio France et Montpellier” (Bajazet di Vivaldi).
«Costumi pensati come immagini semplici, finalizzate a scolpire con immediatezza il personaggio» prosegue la Giustino, arrivata al San Carlo grazie a una borsa di studio in “scenografia”. All’epoca la sua insegnante di costume era Odette Nicoletti, con Mauro Carosi prezioso tassello del teatro desimoniano. Docente che, intuitone il talento, l’avrebbe subito invitata a collaborare in qualità di “assistente-costumista” ad alcune produzioni esterne e poi interne al San Carlo.
Dunque, in concreto, cosa indossano i personaggi sulla scena di questo Schiaccianoci?
«La Fata Confetto sarà vestita di rosa e glicine, il soldatino con la giubba rossa, i personaggi negativi in vesti scure, i fiocchi di neve coperti di candido tulle. Insomma, gli occhi dello spettatore, e in particolar modo quelli del bambino, devono vedere simboli che ben conoscono per identificarsi col personaggio ed entrare nella storia. Pertanto, nella prima parte dello spettacolo, l’atmosfera della Vigilia di Natale trova riscontro in tonalità del rosso e del verde. Quanto al secondo atto, imperniato sul viaggio fantastico che Clara e il Principe Schiaccianoci fanno attraverso il Regno delle fiabe, i costumi rinviano alla tradizione delle diverse nazioni che rappresentano: quindi la spagnola con la rosa fra i capelli, arabi vestiti come sultani e cinesi con baffi da mandarino».
Cosa c’è alle spalle di ogni figurino?
«Uno studio molto lungo ed intenso. Si tratta di un lavoro dai ritmi piuttosto lenti, che attraversa vari stadi. All’inizio ci si concentra, ad esempio, sull’epoca durante la quale l’opera è ambientata, ma poi, si passa alla connotazione simbolica che il carattere del personaggio deve avere attraverso il costume. Ascolto ancora la musica, leggo il libretto e cerco di darvi corpo. Ossia cosa e, soprattutto, come si vuole raccontare per immagini lo spettacolo che si andrà a mettere in scena». (A seguire, i bozzetti firmati da Giusi Giustino per lo Schiaccianoci al Teatro San Carlo)
E alla base di un costume per la danza?
«Curato l’aspetto artistico e di contenuto, c’è da pensare alla realizzazione di un costume che non limiti l’azione del danzatore. Qualsiasi cosa indossi, il ballerino deve avere piena libertà di movimento. Il costume deve essere una seconda pelle. La prima regola è, quindi, “il corpo in libertà”. É qui che si esprime appieno l’abilità del costumista e della sartoria che realizza il costume. Anche abiti all’apparenza pesanti o voluminosi possono diventare, attraverso i materiali e la scelta delle stoffe, leggeri e duttili, devono seguire il movimento senza costringere ed impedire il ballo. A tal fine fondamentale è il rapporto d’intesa con le sarte, alle quali va spiegato ogni passo del processo creativo del costume. Obiettivo, tradurre i figurini in costumi “ballabili”».
Paola De Simone