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Mirabilia, ideato da Gabriella Zeno, coreografa e performer napoletana, è uno spettacolo di teatro-danza che vuole proporsi come studio sul tema del martirio, analizzato da vari punti di vista che mostrano la quantità di casi reali, sociali, umani in cui si commette e si subisce violenza.

Martirio, infatti, per le scelte della regista, significa infanticidio, femminicidio, annegamento dei clandestini che vogliono raggiungere l’Occidente, la degradante condizione politica dell’Italia e le odierne guerre che disseminano odio e paure nel mondo. Insieme alle danzatrici/attrici Ambra Marcozzi e Rosaria Clelia Niola, lo spettacolo è pensato come un susseguirsi di episodi, scanditi dal buio-luce, dove la sofferenza, il disturbo e la follia fuoriescono dai percorsi psicologici che compiono i personaggi.

La scelta del tema è molto interessante, e la modalità di lavorarci con il corpo e l’espressività mette in campo molte difficoltà. Inoltre, le possibilità che caratterizzano questo tema, forse, risultano essere troppe per uno spettacolo di 50 minuti, e passarne in rassegna la maggior parte può creare il rischio di dispersione e deconcentrazione da parte del pubblico.

Altro elemento, forse, non troppo efficace è l’articolazione in brevi flash che non permettono al pubblico di entrare per bene dentro ad ogni episodio.

La prima parte è abbastanza interessante, dopo un ingresso di due corpi che danzano puri, liberi ed in contatto, immagine dell’infanzia e dell’ incontaminazione, le cose poi accadono. Si narra, allora, di una madre che soffoca il proprio figlio con un cuscino al suono del carillon, e negli occhi della danzatrice, attraverso una leggera ombra, si legge il linguaggio della follia; poi, ecco una donna stuprata, ed, infine, le due donne in una clinica, gestite da medicine e ricordi. Molto attuali, dunque, le prime scene, scene di vita quotidiana che si leggono spesso sui giornali. Il tentativo di raccontare il teatro con il solo mezzo del corpo (le poche voci sono registrate e mai personali) vuole proprio rimandare ad una sperimentazione del teatro-danza, concetto molto ampio e davvero difficile da lavorare in scena, a causa della facilità con cui si può scadere nel banale e nel descrittivo o addirittura nel patetico, a scapito delle sensazioni e delle emozioni essenziali che dovrebbero arrivare dritte al cuore del pubblico. La terza donna, interpretata dalla regista, è quella che provoca la sofferenza alle altre, che, invece, la provocano a se stesse. Lei è oscura, difficilmente si riesce a vedere in volto.

La cura nei dettagli rivela un lavoro provato tantissimo e “pulito” per evitare possibili sbavature. Ecco che a metà si cambia registro e la situazione politica dell’Italia viene affrontata dal punto di vista della donna che si trasforma in prostituta e danza ammiccando verso il pubblico e, dopo il buio su una scena che avrebbe potuto “giocarsi” una forza più incisiva, ecco la storia dei corpi naufraghi durante i viaggi clandestini, altro esempio di come si subisce un martirio.

La scena finale sembra voler riprendere ad anello quella iniziale e lascia il pubblico in una sorta di interrogativo: E’ tutto vero? Oppure sono stati solo flash di irrealtà? Qualcosa è cambiato rispetto alla purezza iniziale, gli abbracci, i contatti umani sono stati violati ed i corpi, allora, sono stati completamente svuotati dell’amore. Dunque, il tipo di ricerca verso il teatro-danza è interessante, ma credo che lo sviluppo non sia leggibile. Flesh troppo brevi per sensazioni che hanno bisogno di tempo per scorrere nel corpo degli spettatori, espressione corporea ancora non marcata in uno stile particolare rivelano un lavoro con del potenziale e che, quindi, necessita di una rivisitazione e di un giudizio esterno che potrebbe portarlo verso il meglio. Si tratta, però, di un progetto giovane e questo giustificherebbe alcuni momenti ancora acerbi. Le grida ed i suoni della voce arrivano dritti allo stomaco del pubblico ma risultano, forse, non essere motivati da qualcosa di interno.

La prima scena, dunque, è l’immagine del foglio bianco (carta bianca) in cui la purezza ed il contatto umano permettono lo sfiorarsi, permettono di esprimere un lieve candore infantile e poi si susseguono le scene. Bisogna, dunque, ragionare su cosa sia oggi il martirio e come lo vive un corpo e come si sviluppa in questo corpo la sensazione di aver compiuto e/o subito una violenza. L’idea della Zeno, invece, per questo spettacolo, è quella di descrivere delle vicende e, credo, però, che questa scelta devi il pubblico verso una sorta di descrizione teatrale con il linguaggio del corpo-e non con la narrazione vocale- ancora troppo gestuale ed a tratti leggermente patetica e ridondante. Il corpo, quindi, in qualità di strumento, non è stato utilizzato al massimo della sua espressività.

L’ultima immagine racchiude, così, lo spazio in oggetti, forse i famosi mirabilia, che sono le tracce delle tragedie che si sono consumate e le performers salutano il pubblico con l’ultimo episodio, quello delle guerre dilaganti, della vecchiaia e della povertà.

Lo spettacolo è stato ospitato dal Teatro ZTN- zona teatro Naviganti, uno spazio di piccole dimensioni e di piacevole intimità, dove lo spettatore è a rapporto diretto con i performers, non essendoci divisione tra palco e platea. Il teatro è nato da pochi mesi e già presenta una ricca stagione teatrale in cui ospita spettacoli sia di prosa che di danza e soprattutto dà la possibilità di andare in scena ad artisti emergenti del nostro territorio, opportunità che, secondo me, deve essere offerta sempre di più.

 

 

Mirabilia

regia Gabriella Zeno

coreografie Ambra Marcozzi, Rosaria Clelia Niola

luci e audio Renato Pagano

con Ambra Marcozzi, Rosaria Clelia Niola, Gabriella Zeno

produzione Lotus Project

foto di scena Federico Guerci

durata 50’

Napoli, ZTN, Zona Teatro Naviganti, 24 gennaio 2014

In scena dal 23 al 25 gennaio 2014

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