(Esclusiva Campadidanza)

Luciano Cannito è un fiume in piena. L’occasione della nostra chiacchierata è data dal lavoro del Maestro presso la Bolshoi Ballet Accademy, dove gli è stata richiesta una delle sue creazioni, Giulietta. Ma il racconto dei giorni trascorsi a Mosca, nel tempio del balletto, non può che spingere il coreografo ad un confronto tra due realtà, la nostra e quella russa, distanti anni luce, e non certo per via delle migliaia di chilometri che le separano. La riflessione è lunga e amara, una presa di coscienza lucida del mancato interesse verso la danza nel nostro Paese da parte di chi ha il potere ed i mezzi per sostenerla e valorizzarla.

Maestro, come sta vivendo questa esperienza?

Con grandissimo orgoglio ed umiltà. Orgoglio perché sono il terzo italiano della storia chiamato a lavorare alla scuola del Bolshoi di Mosca. I russi tengono molto alla loro identità nazionale ed a salvaguardare il prodotto d’eccellenza della scuola russa, anche perché è diventato ormai un marchio nel mondo che è sinonimo di assoluta qualità. Loro nella danza non fanno sconti a nessuno. Mentre noi, come sistema Italia, abbiamo ancora tantissimo da imparare sulla meritocrazia, ci sono posti nel mondo, e il Bolshoi è uno di questi, dove la meritocrazia è portata fino ai livelli della crudeltà. Per cui il fatto che loro abbiano affidato ad un italiano la coreografia di uno dei tre balletti della serata finale della scuola del Bolshoi è una cosa storica, non dovrei dirlo io ma è così. E questa cosa mi riempie ancor più di soddisfazione. Ma in realtà questo è il mio lavoro, è quello che ho sempre fatto. In Italia a volte si danno per scontato italiani che lavorano con grande impegno solamente perché la nostra è una cultura esterofila, e se tu sei profeta nella tua casa non potrai mai esserlo. Io mi posso considerare uno dei pochi fortunati, mi è stata restituita dal mio Paese riconoscenza per il mio lavoro di coreografo, però ci sono tanti colleghi straordinari che non riescono ad avere non dico gli strumenti ma neanche latte e biscotti la mattina, intendo in senso simbolico, così che sono costretti ad andarsene all’estero. E’ chiaro che a livello politico si vuole che non ci sia una crescita culturale della danza, si vuole che i corpi di ballo siano asfissiati, non chiusi. Il problema è che ci sono quasi 15mila scuole di danza in Italia, circa 2milioni di allievi. E non si pensa mai al danno sociale che si sta compiendo nel togliere delle motivazioni ad una persona che studia danza, quindi ad un giovane la motivazione della passione. Nessuno ha ancora quantificato quanto in una società togliere motivazioni ad un ragazzo sia pericoloso.

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Il Maestro si ferma qualche istante, per poi riprendere.

Io non volevo fare un’intervista polemica, potrei dire che in questo momento sono l’uomo più felice del mondo. Ma mi devo preoccupare per i ragazzi che studiano danza oggi e che, in Italia, sono una falange macedone. Perché abbiamo cento conservatori e una sola scuola nazionale di danza? Posso sapere chi ha deciso che chi studia danza è di “serie B” e chi studia violino è di “serie A”? Posso sapere perché vado a Mosca e gli stessi che non fanno sconti a nessuno, mi trattano come fossi un re, come un grande direttore d’orchestra, come fossi Muti? Eppure ho fatto solo un balletto, ne ho fatti tanti altri nel mio Paese, alcuni molto più belli. Sono basito perché è come se qualcuno mi stesse svelando la realtà, che non è quella italiana. Sono stato in Grecia, in Turchia, in Francia, in Inghilterra, e da nessuna parte sta accadendo quello che si sta verificando da noi. Ovunque si decide di investire nella danza. Come popolo dei danzatori dobbiamo ribellarci, abbiamo i nostri diritti e dobbiamo pretendere la stessa dignità rispetto alle altre arti.

Non è facile andare avanti dopo una denuncia così forte, dopo parole vere e, peraltro, condivise. Ma torniamo al motivo iniziale della nostra intervista: la prima parte di questa esperienza russa.

Sono stato a Mosca per una prima tranche nel mese di febbraio, nel quale ho imbastito il balletto Giulietta. Si tratta della storia di Romeo e Giulietta raccontata però con sette uomini e una sola donna. La musica, una suite di Čajkovskij di venti minuti, è eseguita dal vivo da due musicisti: una pianista e un violinista che sono due superstar. Lui viene chiamato il Paganini russo. Questo è un lavoro creato per l’Opera di Roma, in particolare per Carlotta Onesti, che si sta diplomando alla Scuola del Teatro dell’Opera ed è veramente speciale, ma quando è stato portato in tournée in Russia la direttrice del Bolshoi, dopo averlo visto, l’ha voluto a tutti i costi.

Una volta lì come è stato organizzato il lavoro?

C’è un altro modo di lavorare, lì lavorano dodici ore al giorno. A questo proposito racconto un aneddoto molto divertente e significativo. Era il terzultimo giorno e la direttrice, la signora Marina Leonova, voleva vedere una prova del balletto. Devi sapere che loro hanno all’interno della scuola un palcoscenico grande più o meno come il San Carlo, che è solo una delle loro sale. Io ero in ritardo con le prove, e così sono andato dalla direttrice scusandomi. Lei mi ha dato carta bianca, dicendomi che avrei potuto provare quanto desideravo, ma chiedendomi la cortesia di finire entro mezzanotte. Da noi, tra sindacati e pause di dieci minuti ogni cinquanta di lavoro, è già impensabile una cosa simile. Devi poi calcolare che quando sono in sala prove, anche se il mio balletto è per sette persone, ne ho venti a disposizione e posso effettuare cambi senza alcun problema, sia perché nessuno si offende sia perché chiunque sa tutta la coreografia, visto che quando io esco dalla sala i ballerini continuano a studiare anche da soli. Ad ogni modo, verso le 22.30 vedo i ragazzi barcollanti e chiedo se ci fossero problemi. Fino a che uno di loro mi dice: “Maestro, ci scusi, ma poiché dovevamo finire alle 19.30 e la mensa è aperta dalle 20.00 alle 20.30, non abbiamo potuto mangiare”. Nessuno mi aveva detto niente per non disturbarmi, in nome del rispetto sacro assoluto, rimanendo senza mangiare tutta la giornata.

A parte ad essere iper-disciplinati, come sono i danzatori con cui sta lavorando?

Sono selezionati da tutto il mondo.

Ci sono anche italiani?

Ne ho visti di italiani, ma non sono nel mio balletto perché non sono all’ultimo corso. Ci sono persone che studiano come esterni, a pagamento, e tra questi ne ho visti diversi di italiani. Un danzatore bravissimo, che è nel cast del mio balletto, è Alessandro, un italo-tedesco; mentre il ragazzo che interpreta Romeo è brasiliano. Sono tutte eccellenze, iper-selezionati, sostengono cinque giorni di esami tutti gli anni con commissioni che vengono da tutte le parti della Russia, e quando arrivano al momento dell’esame di classico possono essere esaminati anche per due giorni.

I suoi toni sono entusiastici ma c’è stato, invece, qualcosa che l’ha colpita in maniera negativa?

A Mosca se non parli in russo stai messo male. Quanto alla scuola del Bolshoi, per chi ama la danza quello è un paradiso. Non ho incontrato un solo ragazzo che sia stato a studiare al Bolshoi e non sia rimasto con un pezzo di cuore lì. Questo perché si studia dalla mattina alla sera, la danza è trattata come una cosa meravigliosa, le viene data importanza. Qualcosa di negativo proprio non te lo so dire. La disciplina è ferrea e chi non ama la disciplina, la meritocrazia, è meglio che non ci mette piede. Lì si formano artisti veri, che possono andare a lavorare in tutto il mondo, non è una roba per figli di papà e gente viziata.

A quando il ritorno in questo luogo meraviglioso?

A maggio. La prima credo ci sarà il 5. Io sarò lì a partire da una settimana prima.

Ci lasciamo con il proposito di risentirci dopo l’importante debutto per carpirne i retroscena e coglierne le emozioni. Nel frattempo al Maestro va il nostro in bocca al lupo e la gratitudine per portare alto il nome della danza italiana all’estero, dove la danza è amata da tutti, dove si è deciso di credere che investire in essa, e più ampiamente nell’arte e nella cultura, abbia un senso, sia degno di un Paese civile e sviluppato, contribuisca alla crescita collettiva. A noi, invece, ci hanno portati a credere che questi sono posti utopici, ma i nostri talenti strappati ci ricordano che questi posti esistono, eccome se esistono, sono la realtà che va riconquistata.
Angela Lonardo

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