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Giovedì 8 maggio al Teatro Delle Palme ha debuttato lo spettacolo Intimo donna ideato, coreografato e danzato da Claudia Sales, direttrice artistica della compagnia D.N.A (Danza Nuda Anima), insieme ad altre quattordici giovani danzatrici. Claudia Sales, attiva in Italia ed all’estero, da anni direttrice insieme a Marco Auggiero del LabArt T.C.S. e solista nella compagnia Labart dance company, ha creato nel 2008 una sua compagnia (attualmente di sole donne) con cui ha cominciato progetti di ricerca coreografica dove la danza nasce dalle emozioni e dai vissuti che lasciano segni indelebili ed aprono le porte alla consapevolezza ed alla crescita artistica e personale. Ecco che dopo varie versioni “work in progress” nasce Intimo donna, dove la danza jazz di stampo americano si contamina al teatro-danza, sia quello tedesco bauschiano che quello onirico di Carolyn Carlson.

Incontro Claudia nel suo camerino poco prima dell’inizio del debutto per chiederle di parlarmi di questo nuovo progetto.

 

Com’ è nata l’idea di questo progetto?

Ho iniziato a lavorare a questo progetto già tre anni fa con una prima interruzione nel novembre 2011, causata dalla malattia di mia madre, un cancro ai polmoni. Presa da questa situazione emozionale, non ero in grado di programmare date, iniziare una circuitazione, proprio perché non sapevo come si sarebbe evoluta la situazione della malattia. Ecco che la paura di perdere mia madre mi portò a frenare quello che era il percorso creativo, ma allo stesso tempo mi ha dato la possibilità di fare una crescita pazzesca ed ho capito che la perdita di una madre è la possibilità per diventare una donna. La perdita della persona che ami e che ti ama di più e che è parte di te è la possibilità per superare le tue paure e prendere in mano la tua vita e la responsabilità verso te stessa. Ho cominciato così ad imparare molte cose che faceva lei per me e che per questo non avevo mai avuto bisogno di fare prima. Era lei, infatti, ad occuparsi dell’organizzazione e della promozione degli spettacoli, montaggio video, foto, grafica e tanti altri aspetti tecnici, di cui, appunto, mi alleggeriva e di cui però io non avevo nessuna esperienza. Per cui, senza più lei, ho dovuto imparare ad occuparmi io di tutto questo e mi si è aperto un mondo, che mi ha fatto provare una fortissima gratitudine nei suoi confronti ed ha dato il senso alla morte, facendomi superare il dolore, anzi facendomelo trasformare in energia pulita per creare la mia danza. Infatti, in seguito alla morte di mia madre, ho iniziato a visualizzare molti aspetti oscuri di me stessa e molti punti di debolezza, che ho, invece, sostituito con forza e coraggio che non credevo davvero di possedere.

Ecco che nel processo coreografico, questa cosa si è tradotta in un nuovo modo di creare. Ti spiego meglio: se prima partivo da un’idea di balletto per creare uno spettacolo, ora parto dalle emozioni, dal vissuto, dal tormento, dal delirio, dalle sfumature, dalle parole non dette, dai gesti nascosti, insomma tutti i vissuti paralleli ora sono nella mia danza, che è quindi meno mentale e più viscerale.

Come sei riuscita a passare tutto ciò alle tue danzatrici nel percorso coreografico? Immagino che rapportasi alla morte di una madre per chi non l’ha vissuto in prima persona debba essere molto difficile.

È stata un’esperienza pazzesca. Dolorosa e gratificante. Per poter risvegliare in loro dei miei vissuti sono stata costretta a farle passare attraverso quelle sensazioni, che ovviamente per una donna di 20 massimo 27 anni è complicato e doloroso. Ho letto lettere, libri, le ho fatte immedesimare, ho raccontato quello che io vivevo, ed eventi legati alla malattia. Infatti, la ricerca di modi alternativi per curare mia madre mi hanno fatto scoprire la metamedicina e la nuova medicina germanica del Dr. Hamer, secondo le cui teorie alcune malattie, soprattutto il cancro, derivano da problemi emozionali. Se una persona riesce a superare dei punti oscuri, anche con un piccolo cambiamento al giorno, riesce a guarire. Ci sono documentari in cui addirittura l’entusiasmo e la gioia di medici cinesi a contatto con una donna affetta da tumore riescono a farla guarire, solo grazie allo scambio di energia positiva.

Come si è evoluto quindi nella pratica questo processo coreografico ritrovato?

 In realtà io credo che già da sei anni stavo lavorando alle fasi della mia vita nella danza, ovvero alla donna- bambina, adulta ed anziana e l’anima che vive e passa attraverso queste fasi. Come dice Pina Bausch in un’intervista, sembra che facciamo sempre la stessa opera che cambia in relazione a noi, per cui gli spettacoli si moltiplicano ma il percorso resta lo stesso. E credo che per me è avvenuta la stessa cosa nel percorso delle mie creazioni e dei mie vissuti che ne sono divenuti parte.

Le danzatrici che ti accompagnano in questo viaggio sono le stesse che hanno vissuto tutto il percorso?

Alcune si. Le fedelissime, quelle che lavorano con me da più tempo sono Annalisa Adiletta e Milena Pasquini, assistenti alle coreografie, ed Anna Tramontano, direttore delle prove. Pian piano ed attraverso audizioni si sono aggiunte anche le altre. Con loro ho creato un “terreno di vissuti”, attraverso questionari in cui ognuna faceva all’altra delle domande a cui bisognava rispondere con la consapevolezza di una bambina, di un’adulta e di un’anziana e per loro è stato, ovviamente, un grande percorso di crescita ed un interessante sviluppo quando poi siamo andate a lavorare coreograficamente su queste emozioni. Ti svelo anche un piccolo dettaglio coreografico: lo spettacolo ha come filo conduttore la citazione di un’aforisma di Woody Allen, ovvero “si dovrebbe iniziare morendo”. È scattata da qui l’idea di fare un percorso a ritroso dell’anima di mia madre che dalla morte si rincarna nella bambina, passando attraverso le varie fasi della sua e della mia vita. La cosa interessante è stato scegliere le danzatrici per i vari ruoli in base al DNA di ognuna e questo ha creato un viaggio interno anche in loro.

Davvero bello. Insomma, stai vivendo e regalando agli altri una tua esperienza attraverso la danza. Un atteggiamento davvero generoso. Invece, cosa mi dici riguardo la scelta dello stile coreografico?

Lo stile coreografico di questo spettacolo è una mia sperimentazione. La base è la danza jazz e la modern dance americana, che è l’origine della danza moderna-contemporanea e che però nelle varie evoluzioni successive è stata dimenticata. Io credo, invece, che la fisicità della danza jazz, in particolare dello stile Alvin Ailey sia molto interessante come strumento narrativo che arriva dritto al cuore delle persone. Oggi, poi, la danza moderna viene interpretata solo in maniera commerciale e televisiva. A questa base ho unito il teatro-danza, sia quello di matrice tedesca bauschiana che quello americano di Carolyn Carlson.

Cosa pensi dell’odierna situazione della danza a Napoli?

Credo che Napoli sia afflitta da un sentimento di autocommiserazione e di passività, in cui ci si accontenta dell’immagine negativa con cui siamo ritratti e nessuno lotta e crede nella sua terra.

 

Un’ ultima domanda: che consiglio daresti ai giovani danzatori napoletani che si apprestano ad un percorso da professionisti?

Consiglierei di andare fuori per nutrirsi e poi ritornare per arricchire la nostra terra.

 

 

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