Karole Armitage
Karole Armitage

Il suo percorso artistico è stato segnato da due grandi geni del mondo della danza, George Balanchine – figura carismatica del balletto neoclassico americano – e Merce Cunningham – capostipite della generazione post-modern. Ballerina, coreografa, fondatrice nel 1979 di una sua compagnia, la Armitage Gone! Dance, Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere da parte del governo francese, Karole Armitage, americana del Wisconsin, ha firmato la coreografia e la regia dell’ Orfeo e Euridice, in scena al Teatro San Carlo da mercoledì 27 maggio, che continua a riscuotere grande successo in giro per il mondo.

Non capita a tutti l’opportunità di lavorare con due grandi personaggi come George Balanchine e Merce Cunningham, che cosa le hanno insegnato?-

Sono stati tutti e due molto importanti per me. Nel lavoro di Balanchine c’è tutto: la ricerca, la metafora, l’elemento spirituale, esistenziale, romantico, umoristico, come nelle opere di Shakespeare. Balanchine sa perfettamente come mettere in scena il corpo di un danzatore per creare più tensione e impatto possibili e poi la sua musicalità è assolutamente incredibile, ha dei ritmi singolari. Il suo lavoro geniale ha dato una fortissima spinta a tutta la danza! Merce Cunningham ha portato in scena la libertà di pensiero e di azione coreografica. Invece di lavorare in uno spazio simmetrico, con un focus centrale, ha creato un campo libero dove l’occhio può guardare in ogni direzione, non c’è una gerarchia in scena, tutti i ballerini sono egualmente importanti. Una visione molto democratica e decisamente più moderna della danza.

Perché ha deciso di dedicarsi alla coreografia?

Quando ho cominciato a lavorare avevo delle idee sulla danza che nessuno sviluppava. Mi sentivo sospesa in un vuoto perché avevo energia, sensibilità e un vocabolario diverso dagli altri. Così, senza pensare di essere una coreografa, ho cominciato a mettere in pratica le mie idee, realizzando le immagini che avevo della danza. Il mio lavoro ha avuto un impatto forte sul pubblico, forse anche perché rappresentavo una novità.

Che cosa cerca nei suoi ballerini?

Molta immaginazione, il massimo livello tecnico e una libertà intellettuale poco comune. Il ballerino deve essere una persona molto aperta, deve saper ricercare l’essere umano attraverso il corpo, l’intelligenza e lo spirito.

Come nasce una sua creazione: dalla musica, dalla storia, da un’emozione?

Tutti questi elementi sono giusti. Ogni volta è diverso, per esempio  Orfeo e Euridice ha già una storia e una musica precisa ma l’ispirazione può nascere anche per la volontà di esprimere uno stato d’animo.

Quale linguaggio tecnico predilige?

Quello legato alla tradizione classica. La mia base è la tecnica classica che include raffinatezza e precisione nell’esecuzione e che, per la sua completezza, dà ogni tipo di informazione al danzatore sulle possibilità di movimento. “Classico” nella tecnica, non nello stile; è importante saper controllare il proprio corpo per poter scegliere come fare un movimento.

Quanto conta per lei l’aspetto esteriore delle cose o delle persone?

Il primo impatto è quello visivo ma sicuramente non mi fermo lì, vado oltre. Con i ballerini c’è sempre tanta collaborazione e questo richiede inevitabilmente molto tempo. Nella sfera personale seguo l’istinto, se qualcuno mi piace, mi piace subito.

Chi è Karole Armitage nel panorama della danza?

Una persona che cerca di creare la danza classica di oggi.

E’ ancora “ribelle”?

Si, lo sono sempre stata. Ci vuole un’energia terribile per portare avanti le proprie idee. Chiedo agli altri e a me stessa sempre nuove sfide. E’ più difficile lavorare in un contesto che ricerca continuamente nuove possibilità di espressione o di movimento ma il mio ruolo è creare un tipo di danza che parla della vita di oggi. Tutti noi cambiamo, siamo in continua evoluzione. Cambia anche il concetto dell’universo, la velocità della vita, la quantità di informazioni che si hanno a disposizione, l’uso delle immagini, il pubblico che va a teatro deve potersi identificare con quello che succede sulla scena: l’arte è uno spazio meditativo, uno spazio sacro che fa riflettere, pensare, capire, viaggiare dentro di noi.

Che cos’è la danza per lei?

Un’arte che usa tutte le possibilità del corpo per creare linguaggi attuali. Non mi interessa utilizzare passi che hanno già codificato, il corpo è molto espressivo. Mi interessa una danza pura in cui il movimento risulti essenziale.

Elisabetta Testa

 

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