Giovanna Spalice
Giovanna Spalice

Una lunga carriera alle spalle coronata dal ruolo più ambito, quello di étoile. Al Teatro San Carlo, dove è stata per tanti anni protagonista, ha interpretato un gran numero di balletti sempre nel segno della qualità. Versatile sulla scena, lavoratrice instancabile nella vita di tutti i giorni, Giovanna Spalice – napoletana – ha sorpreso ogni volta per professionalità e bravura.

Come ha iniziato a studiare danza?

Grazie a mia zia, i miei genitori non volevano assolutamente farmi ballare. Pian piano sono andata avanti fino a diventare l’orgoglio della famiglia!

Ho iniziato i miei studi a Napoli, con Tony Ferrante, ma negli ultimi anni andavo a studiare privatamente col maestro Zarko Prebil che mi ha dato una base molto solida, fondamentale. Poi ho lavorato al Teatro San Carlo, all’Opera di Roma, all’Arena di Verona, ho conosciuto tante persone e ognuna di loro mi ha arricchito. Facevo tre, quattro lezioni al giorno.

Quali sono state le difficoltà del suo percorso artistico?

Non sono mai stata molto dotata, ero chiusa. Mi sono ‘costruita’, ho ascoltato chiunque mi stesse di fronte, ho provato la tecnica francese, quella russa, americana e ho cercato di prendere da ognuna di loro il meglio, questo mi ha modificato.

Che cosa l’ha aiutata nello studio?

La testardaggine. E poi guardare i grandi ballerini e mettermi continuamente in discussione. Mi sono sempre guardata allo specchio per cercare di fare di più. Ogni volta è stata una sfida con me stessa.

Chi ha inciso nella sua carriera?

Il maestro Roberto Fascilla ha creduto molto in me, insieme a Ricardo Nuñez che mi ha fatto ballare come protagonista ne Il lago dei cigni, nel 1994, quando avevo ventisei anni. Con Derek Deane ed Elisabetta Terabust mi sono sentita completata, non c’era niente in me che, a detta loro, fosse fuori posto. Ho sempre cercato di fare tutto quello che mi consigliavano, da persone così prestigiose accettavo tutto.

Com’è nata la scelta precisa di restare a Napoli?

Quando avevo sedici anni proprio la signora Terabust mi consigliò di trasferirmi a Londra, ma ero troppo piccola e la mia famiglia non volle mandarmi. Ho sempre lavorato con tutti i grandi ballerini ospiti del Teatro San Carlo, ho avuto l’opportunità di fare dei gala e tante altre cose ma, stando a Napoli, mai una proposta concreta. Certo, se me lo avessero chiesto quando ero più grande sarei partita immediatamente, non è stata una mia scelta quella di rimanere. E poi sono napoletana, parlano sempre male di noi, non ho capito perché dobbiamo andare a fare la fortuna degli altri all’estero, per poi tornare e ricominciare daccapo perché quando torni ad una certa età ci sono già altri ballerini che avanzano. Se fossi andata in qualunque altro posto sarei la stessa persona di adesso.

Quali sono i suoi ruoli preferiti?

Mi piacciono tutti. I balletti astratti di George Balanchine dove c’è la tecnica più sfrenata; i ruoli romantici, drammatici, perché tiri fuori un aspetto del tuo carattere che non sapevi di avere. Non mi sento molto portata per un contemporaneo ‘estremo’, però mi metterei volentieri alla prova, le esperienze arricchiscono. La danza per me è bellezza di linee.

C’è qualcosa che non sopporta?

Il fatto di non essere apprezzata come ballerina solo perché sono rimasta nella mia città. E poi trovo inutile la tecnica sfrenata a dispetto della sensibilità artistica. Il mondo è pieno di bravi ballerini ma di veri artisti in giro ce ne sono veramente pochi.

Che cosa le piace del mondo della danza?

Tutto, la magia. Studiare ogni giorno è come una terapia: hai la possibilità di allontanarti da qualsiasi problema facendo ciò che ami.

Qual è la dote più importante per una ballerina?

L’umiltà. Riuscire a guardarsi allo specchio e mettersi sempre in discussione. La perfezione non esiste, è una continua ricerca di tanti elementi. Vladimir Vassiliev diceva sempre:” Bisogna essere presuntuosi in scena, non in camerino. Il palcoscenico fa la differenza, fuori dal teatro siamo tutti uguali.”

Che cosa l’ha resa felice in questi anni?

Il rispetto dei miei colleghi. Ho sempre detto che il pubblico più difficile è il corpo di ballo. Avere l’applauso della compagnia, in sala, ti fa sentire protetta. Una cosa che non potranno mai dire di me è che non ho lavorato! Sono una persona riconoscente, niente è dovuto.

Che cos’è per lei la danza?

Aria da respirare, mi dà tante cose belle e brutte ma è aria, e senza non potrei vivere.

Elisabetta Testa

 

 

 

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