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Nella rubrica in cui segnaliamo coloro che attraverso la danza hanno scoperto e approfondito le loro capacità artistiche e professionali, hanno sviluppato uno sguardo diverso e più sensibile sulla realtà,  incontriamo oggi Alessandra Finelli e Domenico Salierno.

Alessandra è una fotografa che per molti anni, dopo la sua formazione in danza contemporanea, ha danzato e insegnato in vari centri della Campania ma da alcuni anni la sua attività principale è diventata la fotografia.

Racconta le fasi di questo tuo passaggio.

Per otto anni ho insegnato in varie scuole di danza ma una serie di infortuni, mi hanno spinto nel 2006 a cercare un altro canale espressivo che riuscisse a soddisfarmi, e così sono approdata alla fotografia. Essendomi diplomata in moda e costume all’Istituto d’arte, sono sempre stata attratta dalla fotografia di moda. Ed è proprio facendo da assistente ad un fotografo che si occupa di questo e di pubblicità principalmente, che ho iniziato il mio percorso. L’esperienza ha fatto il resto. Negli anni ho lavorato per varie marche d’abbigliamento ( Derriere,Hogan,Sivus Lab,etc etc) aziende ed organizzazioni ( Comicon, Orbeat, etc etc), per le quali mi sono occupata del reportage fotografico dei loro eventi, indagini di mercato, oppure dei loro cataloghi. Le mie foto sono diventate le copertine degli album di diversi cantanti e gruppi musicali della scena napoletana (Gnut, Epo, Le Strisce) ed ho partecipato alla realizzazione di diversi video musicali.

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In che maniera essere una danzatrice ti ha condizionato nel tuo lavoro di fotografa?

La danza è un’arte totalizzante. È un modo di vivere. Se sei stato un ballerino, continuerai ad esserlo tutta la vita ed in tutto ciò che farai. Sarà nei tuoi gesti, nella tua postura, nel tuo approccio alle cose, nelle tue scelte, nei tuoi gusti, nella logica dei tuoi pensieri. Quando scatto una foto, nell’interfacciarmi con i soggetti, metto in pratica le medesime dinamiche che usavo nella costruzione e spiegazione di una coreografia.
Riesco quasi sempre a comprendere chi ho di fronte dal suo atteggiamento corporeo, lo stato emozionale in cui è, i blocchi, le difficoltà che sente, e regolarmi di conseguenza per la buona riuscita del servizio fotografico.

Hai mai fotografato la danza?

Si mi interessa l’improvvisazione. Nel 2012 ho realizzato un progetto ispirato a Pina Bausch. Vivevo a Milano ed un giorno chiesi ad una mia amica cinese che lavora come designer (che non aveva mai fatto un lavoro sul corpo di nessun genere) di farmi da modella per questo servizio. Le chiesi di fare una serie di cose a metà tra contact imrovisation ed teatro danza. Ovviamente la gente in strada, ci prendeva per pazze. Però fu bravissima. Poi sempre nello stesso anno ho lavorato con due bravissimi ballerini di tango, li ho portati in un antico palazzo di Napoli ed insieme abbiamo creato una storia fotografica.

Domenico Salierno, scultore, regista e drammaturgo invece si occupa di cinema e video arte. Si è avvicinato alla danza già da adulto in contemporanea alla sua formazione di scultore all’Accademia di belle Arti. Con Afradabere Production, creato insieme ad Alessandro Riccio, realizza lavori fotografici, video poesie, videoclip musicali; è recente il lavoro pubblicitario con pasta Barilla, Divani e Divani. Domenico è anche impegnato nel volontariato e attraverso i suoi video produce informazione e documentazione per scuole e/o enti sempre nell’ambito di progetti per i giovani e per la prevenzione contro Aids. Nel 2011 con Movimento Danza, per Afradabere Production, realizza un video, Quello che le donne non dicono, sulla violenza contro le donne. Negli ultimi anni il suo lavoro creativo spazia principalmente tra la pittura e il teatro, nell’ultimo anno ha partecipato a due mostre molto importanti, Silver Screen a Sassuolo con la galleria Magazzini Criminali e a Perugia allo Storico Jazz Caffè, dove ha messo a punto la prima retrospettiva dei suoi venti anni di lavoro.

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Domenico che cos’è per te la danza?

E’ la porta che mi ha aperto all’espressione, realmente il mondo che mi ha messo in contatto con me stesso. Abbandonarsi, lasciarsi andare, ascoltare la musicalità del corpo, sentirsi, capire le sensazioni e l’emozione del movimento. La musicalità nelle discipline artistiche espressive è qualcosa che fonda il concetto stesso di espressione, secondo me anche un quadro, una scultura, un video possono essere o avere musicalità  alla stessa maniera di un corpo che danza. Il concetto stesso di dipingere può essere una danza. La danza, come il canto, è un momento di presenza del nostro essere, qualcosa che ci mette in comunione con l’universo.

In che maniera essere entrato nel mondo della danza ti ha influenzato nel tuo lavoro artistico?

Nella mia ricerca performativa e dell’arte espressiva la danza ha sempre avuto un ruolo importante; rappresentata da un movimento che esce dal quadro e continua davanti agli occhi dello spettatore, una continuazione dell’opera, un’azione che provoca o semplicemente completa l’opera stessa. Questo era il concetto delle mie performance “ sculturodramma” “sinapsi in action” dove anche il testo insieme al movimento riempivano lo spazio espositivo per coinvolgere tutti i sensi e sentirsi veramente nell’azione creativa. Un’opera non è assoluta se non è musicale, sé non ha insito dentro il movimento, la gestualità, anche se è raccontata da un concetto. La danza è un percorso personale e non importa se balli su un palcoscenico di un teatro o in una piazza sui cartoni, la danza è un modo per centrarsi, attraverso la disciplina, la sbarra, lo sforzo di superarsi e congiungersi, nell’estensione di una linea, di un pensiero, di un concetto, di un movimento che parte sempre da dentro, da una sensazione. E poi ti rimane tutto dentro come un bagaglio meraviglioso, e danzi..danzi continui a danzare con lo sguardo, con il pensiero, muovi il pennello sulla tela, le dita affondano nella materia, le parole si muovono nell’aria e il tutto diviene  un concerto armonico.

Qual è il tuo prossimo progetto?

A Ottobre 2013 il mio corto,  Silenzio, storia di una Vergine,  con protagonista Sabrina Carnevale viene selezionato e concorre al Napoli Film Festival, sezione Corti. Questo progetto è legato ad un testo teatrale scritto da me già a 21 anni, al quale sto ora lavorando per la sua realizzazione teatrale. Il corto sarà la prima scena nella rappresentazione, questo spettacolo multimediale, di cui curo anche le scenografie, è tutto in napoletano e vedrà ben presto le scene.

Qual è il tuo sogno?

 Io credo nell’arte come guarigione e mi piacerebbe realizzare un Museo della guarigione, dove gli artisti sono pazienti e/o quelle persone che trovano la strada verso se stessi attraverso l’espressione artistica e quindi la guarigione.

 Roberta Albano

 

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