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“Il mondo del balletto può smettere di cercare il coreografo migliore. E’ Boris Eifman.” Così Anna Kisselgoff, critico di danza di lunga esperienza, ha scritto sul New York Times. Lui, siberiano, da molti anni coinvolge gli spettatori nell’universo delle passioni umane. E non è poco. Grande affabulatore, gentile, suadente, Boris Eifman dietro la sua calma apparente nasconde una forte determinazione che l’ha portato ad essere un grande faro di luce nel panorama della danza mondiale.

Padrone di una tecnica e di uno stile inconfondibili, che privilegiano il dinamismo e la fluidità ma anche la diversità dei movimenti, da quasi quarant’anni dirige la sua compagnia, il Boris Eifman Ballet di San Pietroburgo, che vanta un repertorio di oltre quaranta titoli. In questi giorni è a Napoli, dove al Teatro di San Carlo il 25 e il 26 ottobre, firmerà la coreografia “Anna Karenina”.

Maestro che cosa significa per lei sviluppare nuove forme di coreografia in Russia, un paese che è la culla della tradizione?

Ho fondato la mia compagnia nel 1977, in quel periodo tutta l’attenzione era puntata sul balletto classico, sovietico. Chiaramente le stelle fulgide erano il Bolshoi di Mosca e il Kirov di Leningrado. All’epoca ero un giovane coreografo con tante idee e una spiccata fantasia e desideravo fortemente una mia compagnia attraverso la quale potermi esprimere. Quando sono riuscito a mettere insieme un gruppo di ballerini, la mia realtà professionale rappresentava un’alternativa alla tradizione classica, accademica. Non volevo fare una rivoluzione del balletto russo ma semplicemente svilupparlo, ampliarne i confini. Invece in quel periodo storico la mia arte è stata recepita come una rottura, uno stravolgimento del sistema. Ho avuto grossi problemi nell’andare avanti, mi hanno etichettato come ‘dissidente’ e volevano farmi chiudere la compagnia. Nel 1985, l’anno della perestroika (trasparenza), tutti abbiamo vissuto un periodo difficile in cui nessuno si preoccupava di pensare alla danza. Negli ultimi dieci anni sono riuscito a conquistare una posizione solida, ho costruito nel tempo un repertorio nuovo, al passo con la Russia contemporanea. In questi anni la mia compagnia è conosciuta, apprezzata e richiesta in tutto il mondo, i miei ballerini (sono cinquantasei elementi) rappresentano la coreografia contemporanea della Russia di oggi, che non si sovrappone alla tradizione classica ma ne allarga i confini. La base dei mie danzatori è sempre classica ma viene ravvivata da un linguaggio tecnico contemporaneo.

Che cosa la colpisce in un danzatore?

L’aspetto fisico – mi piacciono alti, giovani e belli – e l’interiorità che attraverso il linguaggio del corpo trasmette al pubblico le emozioni.

Che cos’è il talento?

Un dono di Dio che ha ogni persona ma non tutti riescono a capirlo, a sentirlo, a svilupparlo e da questo impedimento nascono le tragedie della vita. La persona sente qualcosa ma non riesce a realizzare ciò che brucia dentro di sé e allora beve, si droga…il talento realizzato è un dono di Dio, io sono stato fortunato in questo senso, ho capito molto presto la mia vocazione. E’ una grande felicità poter esprimere le mie idee più profonde attraverso il linguaggio della danza la cui forza è proprio questa: permettere di comunicare con migliaia di persone attraverso i movimenti. E’ una grosso privilegio per me poterlo fare, in tutta la mia vita ho cercato di sviluppare questa capacità e la mia non è stata una vita facile.

Che cosa la emoziona?

Penso che le emozioni non vengano dall’esterno ma siano dentro di me. Anche l’amore non mi ha mai ispirato arte, non sono un poeta dell’amore ma del dramma.

Che cos’è l’umiltà secondo lei?

Sono stato allievo di Jacobson, un coreografo bravissimo, pieno di talento, l’umiltà è la dote di chi non ha altre doti!

Mi dice tre aggettivi che la definiscono, senza pensarci troppo?

Tre aggettivi non sono sufficienti.

Che cosa è cambiato nel mondo della danza in questi ultimi tempi?

La danza in questo momento non sta vivendo il suo momento migliore. Non ci sono coreografi dello stesso livello artistico di quelli che non ci sono più. Se ne sono andati e nessuno li ha rimpiazzati. Mancano coreografi che restituiscano la danza al teatro, la maggior parte di loro crea spettacoli che sono solo un insieme di movimenti, senza teatralità, testo, drammaturgia. Io cerco di mantenere la tradizione del balletto basato su una storia, la tragedia mi serve per evidenziare i diversi momenti della vita di una persona. Non disconosco il mondo esterno, sono consapevole della vita in generale ma le emozioni sono dentro di me. Non mi ricarico dal mondo esterno ma da un’energia interiore. Anche questo è un dono di Dio.

Le è mai capitato di avere paura?

Si, certo. Ho una posizione importante, affermata nel mondo della danza ma ogni volta che creo un nuovo balletto ho paura. Quella del coreografo non è una professione, voglio dire che un dentista o un avvocato sanno esattamente come svolgere il proprio lavoro, io non so come mettere in scena un balletto fin quando non è tutto pronto per il debutto. La creazione è un percorso lungo e incerto…faccio tutto quello che posso per costruire un nuovo lavoro ma non so poi se ci riesco. E comunque devo stare molto attento, ho grosse responsabilità, dal mio lavoro dipende la vita della mia compagnia.

Tanti anni di esperienza in giro per il mondo, qual è stato il momento più bello della sua carriera?

Ho vissuto molti momenti felici. Il riconoscimento più bello è quando il pubblico apprezza il mio lavoro. In questo momento la mia compagnia è in Germania con I fratelli Karamazov che ha avuto una standing ovation. Questa è felicità! Ho avuto da Dio il dono di riuscire a trasmettere la mia energia. Il corpo sa esprimere emozioni e comunicare attraverso gesti, movimenti, è una specie di sciamanesimo.

Che cos’è la danza per lei?

Una manifestazione unica della natura. L’uomo comincia a danzare nel ventre della madre perché riceve delle emozioni e cerca di manifestarle attraverso il movimento. La danza è uno strumento ineguagliabile per comunicare, è un linguaggio universale, senza barriere, è un enorme contenitore che conserva tutta la storia espressa da milioni di persone prima di noi. Un balletto creato a San Pietroburgo viene recepito in Giappone o in America senza problemi. La danza è un messaggio da persona a persona.

Elisabetta Testa

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